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 2010  giugno 16 Mercoledì calendario

DE ROSSI, UN LEADER OLTRE I PROBLEMI

C’è una storia, dietro il nervosismo e l’euforia, lo stress e il senso di liberazione che Daniele De Rossi ha mostrato ieri al mondo intero. Una storia di famiglia, da affrontare con il rispetto con cui si entra nella sfera privata dei personaggi pubblici. Daniele è un ragazzo solido, formato dal padre anche sotto l’aspetto sportivo, visto che Alberto De Rossi è l’allenatore della Primavera della Roma.
Ma da qualche mese il centrocampista della nazionale è preso a volte di mira negli stadi dove la Roma gioca in trasferta. I cori gli ricordano una tragedia familiare: il suocero Massimo Pisnoli, assassinato con una fucilata al volto nel parcheggio di una stazione di provincia, in quello che parve un regolamento di conti della malavita. Una storia che ora si è ulteriormente complicata, con la separazione dalla moglie Tamara, la paura di non poter vedere abbastanza la figlia Gaia, 5 anni, cui è legatissimo – «per me prima c’è lei, poi il niente, poi il calcio», il timore che possa crescere in un ambiente diverso da quello inappuntabile della famiglia De Rossi.
È inevitabile che una simile pressione influisca sulla vita di un uomo, di uno sportivo. Le notti in bianco mal si conciliano con gli allenamenti mattutini, l’angoscia con la concentrazione richiesta da un campionato interminabile e ora da un Mondiale che si gioca dall’altra parte del mondo, in un ritiro perso nel nulla dell’altopiano del Gauteng dopo una lunga preparazione a Sestriere, lontano da Roma.
Però De Rossi ha dimostrato di saperla reggere, questa pressione. La grande rimonta dei giallorossi sull’Inter l’ha visto come protagonista: l’uomo che nella capitale chiamano ancora Capitan Futuro, come amarcarne un gregariato nei confronti di Francesco Totti, ha saputo guidare la squadra con più autorevolezza del capitano attuale, ancora capace di perdersi in sciocchezze infantili come il calcione a Balotelli. Nonostante i malanni fisici e le difficoltà della nefasta amichevole con il Messico, in cui è stato sostituito, De Rossi si è presentato ai Mondiali con la carica giusta, e non solo per la barba da guerriero.
Il punto è che i grandi centrocampisti non possono non avere intelligenza ed equilibrio. E De Rossi li ha. Ora sta vivendo un passaggio decisivo della sua vita, non solo calcistica. Sopperisce con la grinta alla serenità che gli manca. Il suo carattere l’ha talora tradito, in passato. Ai Mondiali in Germania arrivò molto carico ma perse quattro partite per un’inutile gomitata a McBride, nel match contro gli Stati Uniti: espulsione e squalifica record; Lippi poté riaverlo solo in finale, dove lui trasformò il suo rigore.
Da allora è sicuramente cresciuto. Sir Alex Ferguson, il leggendario allenatore a vita del Manchester, disse che gli sarebbe piaciuto averlo nella sua squadra. L’altra sera, dopo il gol al Paraguay, i cronisti sudamericani gli hanno chiesto se davvero andrà al Real Madrid con Mourinho; lui ha risposto che sarebbe andato all’aeroporto, per tornare subito a Johannesburg e prepararsi alla sfida decisiva con la Nuova Zelanda. In realtà, è vicino al rinnovo di contratto per la Roma: come Totti guadagnerà 5 milioni di euro netti l’anno, come Totti resterà probabilmente giallorosso a vita.
Gli hanno attribuito simpatie di estrema destra, ma non è così: «Sono un moderato. Confesso che a votare non vado mai. So che è sbagliato, i miei genitori si arrabbiano pure, però non mi riconosco in nessun partito. Avere valori come l’ordine o la famiglia è forse di destra? Dovrebbero essere i valori di tutti». I cronisti li considera un male necessario: «A me non piacciono i meccanismi che si creano tra il giornalista e il calciatore. Magari qualcuno di noi finge di non salutarvi e poi la sera vi chiama per raccontarvi quello che succede nello spogliatoio. Io vi rispetto, ma fra noi non può esserci amicizia, c’è conflitto di interessi».
Figuriamoci se affronta volentieri le sue vicende familiari. Si è aperto una volta sola, con Massimo Cecchini de La Gazzetta dello Sport: «Tanta gente ha parlato di mio suocero con superficialità. Nessuno si è reso conto che si parlava di una persona morta e in quel modo violento. Io so quello che mio suocero poteva aver fatto nella vita, ma per tanti sembrava quasi si fosse meritato una fine del genere, e questo è assurdo. L’affetto che mi lega a lui non cambierà, così come non mi pento di avergli dedicato la doppietta che ho fatto in nazionale alla Georgia, anche se questo mi è costato le critiche di un sindacato di polizia». I sindacati di polizia non hanno apprezzato neppure le sue parole contro la tessera del tifoso e a favore semmai della «tessera del poliziotto». Quanto alla moglie, «è vero, il matrimonio tra me e Tamara non è andato bene». Lei faceva la ballerina a «Sarabanda» con Enrico Papi, e veniva agli allenamenti della Roma a Trigoria; lui oltre all’autografo le lasciò il numero di telefono. «Ma il presente e il futuro è nostra figlia, che ci terrà uniti per sempre, a dispetto di tutte le chiacchiere». L’interesse non solo di De Rossi ma pure della nazionale è che la storia finisca davvero così.