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 2010  giugno 16 Mercoledì calendario

DIPLOMATICI D’ALTRI TEMPI AL SERVIZIO DEL RE

Leggendo la sua rievocazione dei fatti di Corfù del 1923, mi è tornato alla mente che molti anni addietro trovai nella libreria di famiglia un libro di memorie (molto voluminoso) dell’ambasciatore Raffaele Guariglia, che all’epoca dei fatti era probabilmente un uomo di punta della nostra diplomazia e che raccontava come da diplomatico sudò le famose «sette camicie» per sistemare le intemperanze del primo Mussolini che ci teneva ad effettuare una prova di forza militare. Mi sembra di ricordare che poi Guariglia fu ministro degli Esteri del governo Badoglio dopo l’8 settembre 1943. Lei potrebbe averlo conosciuto oppure aver avuto consuetudini di lavoro con colleghi più anziani. Potrebbe aggiungere qualche cosa ai miei sbiaditi ricordi?
Emilio Cherubini
cherubini@kerdi.it
Caro Cherubini, conosco le memorie di Raffaele Guariglia e le segnalo che ne esiste anche una edizione francese apparsa nel 1955, particolarmente interessante perché preceduta da una prefazione di Georges Bonnet, ministro degli Esteri della III Repubblica nel periodo, dall’ottobre del 1938 al giugno 1939, durante il quale l’autore fu ambasciatore a Parigi. Bonnet gli riconosce il merito di avere fatto del suo meglio per evitare l’ingresso dell’Italia nel conflitto. Anche allora, come durante la crisi italo-greca provocata dall’occupazione italiana di Corfù, Guariglia cercò di spegnere i bellicosi bollori di Mussolini.
Quando misi piede per la prima volta a Palazzo Chigi, allora sede del ministero degli Esteri, Guariglia era dal 1948 senatore del Partito monarchico per il collegio di Salerno. Aveva servito il re negli anni di Mussolini, lo servì come ministro degli Esteri nel governo Badoglio dopo il 25 luglio e avrebbe continuato a servire la monarchia se il referendum del 2 giugno 1946 non avesse dato alla repubblica un contestato margine di maggioranza. Non appena ne apprese il risultato scrisse ad Alcide De Gasperi una lettera in cui disse che avrebbe rispettato la decisione del popolo italiano, pur considerandola «storicamente ingiusta e contraria agli interessi della nazione». Aggiunse che sarebbe stato pronto a servire ancora il Paese, se il governo lo avesse ritenuto opportuno. Ma non come ambasciatore. Aveva ricoperto quelle funzioni in nome del re in quattro capitali (Madrid, Buenos Aires, Parigi, Ankara) e riteneva che un altro incarico in nome della repubblica sarebbe stato «contrario alla sua nozione della dignità di un cittadino e di un funzionario».
So che questi atteggiamenti possono sembrare oggi un po’ ampollosi e anacronistici. Ma in un’epoca in cui tutti vogliono ricordare qualcosa e celebrare «giorni della memoria», sarebbe forse giusto riservare qualche minuto anche a quei funzionari e ufficiali che decisero di restare fedeli alla monarchia. Conobbi allora alcuni ufficiali di marina che fecero quella scelta. Qualcuno andò all’estero, soprattutto in America Latina, altri trovarono impiego in aziende private. Non erano fanaticamente monarchici e furono a tutti gli effetti, negli anni seguenti, ottimi repubblicani. Ma non volevano provare l’imbarazzo di un nuovo giuramento. Come tutti i diplomatici Guariglia fu, secondo una famosa definizione inglese, un galantuomo mandato all’estero per mentire nell’interesse del suo Paese. Ma preferiva vivere l’ultima fase della sua vita (morì nel 1970) senza doversi rimproverare di avere mentito a se stesso.
Sergio Romano