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 2010  giugno 16 Mercoledì calendario

TUTTO INCOMINCI CON TELEBIELLA

Ma come era cominciato tutto? Tutto comincia quando finisce TeleBiella: il primo giugno del 1973 un funzionario del ministero delle Poste taglia e sigilla i cavi dell’emittente, divenuta fuorilegge con un decreto del ministro Giovanni Gioia. Da quell’infausto giorno, la bandiera del localismo sventola sull’Italia.
TeleBiella, infatti, è una delle prime stazioni tv private in Italia, costituita il 20 aprile 1971 dall’ex regista della Rai Giuseppe Sacchi (per gli amici Peppo) che in quella fatidica data ottenne da un tribunale la registrazione del proprio notiziario come «giornale periodico a mezzo video». Le trasmissioni cominciano solo il 15 dicembre 1972, allo scadere della convenzione tra lo Stato italiano e la Rai per la concessione in esclusiva dei servizi radiotelevisivi. I pochi utenti sono collegati via cavo (3.000 metri di cavi trasportavano i programmi agli apparecchi installati nelle strade, in piazza, sotto la galleria, in bar, ristoranti e abitazioni di privati) e la programmazione consiste esclusivamente in brevi notiziari. La Rai inizialmente sembra non dare importanza al fenomeno; ben presto, però, sull’esempio di TeleBiella altre stazioni via cavo vengono attivate in Italia. Il primo giugno 1973, come ricordato, un funzionario del ministero delle Poste e Telecomunicazioni si presenta negli studi dell’emittente piemontese con un decreto che ne prevede l’immediato smantellamento. L’imprenditore accoglie il funzionario negli studi, con il pubblico presente e le telecamere in funzione, attribuendo all’intervento del governo la valenza ideologica di un attentato alla libertà di informazione. Non si dà per vinto e coinvolge avvocati e testimonial illustri come Enzo Tortora nella difesa della sua televisione; si appella alla Corte costituzionale, al Tribunale della libertà e al Tribunale europeo del Lussemburgo. Dopo un anno, nel luglio del 1974, una sentenza della Corte costituzionale autorizza le trasmissioni via cavo e TeleBiella riprende a trasmettere.
La vera e propria liberalizzazione delle televisioni private viene sancita solo nel 1976. L’avvento delle televisioni commerciali segna anche la fine dell’esperienza di TeleBiella, nata come organo di controinformazione più che come emittente interessata a entrare in competizione con le altre sul terreno dell’intrattenimento.
La cosa più curiosa è che, passati alcuni anni, le televisioni locali si impongono all’attenzione del pubblico non come modelli di controinformazione ma con le televendite: attraverso alcuni fantastici imbonitori (Guido Angeli, Vanna Marchi, Walter Carboni su tutti) è come assistere all’emergere di un’Italia del sommerso, di un’Italia sconosciuta ai più, di un’Italia che si credeva finita per sempre.
«Gli interventi sono essenzialmente proiettati verso gli anni Duemila, è un’azienda che si è mossa un attimo prima delle altre. Ormai bisogna affrontare quelli che sono e saranno i problemi contingenti di un tipo di... – perché no? – di società che affronterà la vita in maniera solamente diversa per esigenze che saranno poi, tutto sommato, quelle della vita, dello stesso ritmo di vita, del tipo di vita che nel Duemila ci sia». Questa, in sintesi, la «filosofia Aiazzone». Se il pensiero è forte, non altrettanto si può dire della forma; ma questi sono dettagli marginali.
I nouveaux philosophes di questo universo di listini prezzi, barocchi intarsiati, tavernette, preghierine, mensoline e sofà, soggiorni, salotti di una certa classe e cucine componibili molto rustiche (ma la filosofia dell’arredamento viene estesa ad altri campi: alghe dimagranti, creme addominali, multiproprietà, vini di origine non controllata) attirano l’attenzione di inviati o conquistato l’onore di copertine patinate. Alcuni li descrivono come imbonitori da fiera elettronica, altri come fenomeni da baraccone, altri ancora li trattano, magari inconsciamente ma certo con malcelato sadismo, come elephant man della tv, insomma come i nuovi mostri del teleschermo.
Queste emergenze, per tanti versi inaspettate, altro non sono che il trionfo della televisione del sommerso, l’elogio della quotidianità, la legittimazione dell’arte d’arrangiarsi; anche se qualcuno è pronto a sostenere che questi spettacolini da mercato nero esprimono idee profonde (lo spirito dei tempi), in realtà queste presenze denunciano significative smagliature di un sistema televisivo che comincia timidamente a cambiare pelle, a diventare adulto.
Aldo Grasso