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 2010  giugno 16 Mercoledì calendario

ECCO LE BOTTEGHE

Le chiese di Roma sono piene delle sue opere, ma Andrea Bregno, scultore famoso nel Quattrocento, oggi è quasi dimenticato
La «Testa Carafa» di Donatello Esposta anche la famosa «Testa Carafa» di Donatello, che tra ”500 e ”800 veniva scambiata per un’opera romana del II secolo
Le chiese di Roma sono piene di monumenti realizzati da Andrea Bregno e dalla sua bottega. Ma l’artista comasco, che nella seconda metà del XV secolo fu attivissimo nel suo atelier di Monte Cavallo vicino al Quirinale e famoso al pari di Donatello e Michelangelo, è in seguito caduto in un cono d’ombra e oggi lo ricordano soltanto gli studiosi di storia dell’arte. da questa constatazione che sei fa nasce un «Comitato Andrea Bregno», presieduto dall’allora soprintendente del Polo museale Claudio Strinati e finanziato dal ministero dei Beni culturali con un milione e duecentomila euro, con lo scopo di far riemergere lo scultore dimenticato. Il comitato, con attività a termine stabilita in due anni, ha continuato a operare fino a alla mostra inaugurata ieri a Palazzo Venezia, intitolata «La forma del Rinascimento. Donatello, Andrea Bregno, Michelangelo e la scultura a Roma nel Quattrocento».
L’esposizione in realtà prevedeva un centinaio di opere dei tre grandi artisti e di altri che avevano vissuto e lavorato nello stesso periodo nella città dei Papi. Ma essendo stati ridotti a un terzo i finanziamenti, i curatori Strinati e Claudio Crescentini, hanno ridotto a un terzo anche il numero delle opere presentate. Così, delle numerose sale espositive al primo piano di Palazzo Venezia, la prima è riempita con una trentina di sculture, la seconda ospita al centro di una parete la minuscola testa marmorea di «Vento marino o Eolo» proveniente dal museo diocesano di Palestrina e di recente attribuita a Michelangelo. Il resto, vuoto.
Si può comunque intravedere uno spaccato del mondo rinascimentale in un comparto poco studiato, come quello delle botteghe che fiorirono a Roma intorno a Donatello, Bregno e Michelangelo. Di Donatello, che giunse nella città eterna per «studiare emisurare l’antichità», si ammira la gigantesca testa equina in bronzo (nota anche come Testa Carafa, perché esposta dall’omonimo cardinale partenopeo nella propria dimora), proveniente dal museo archeologico di Napoli. Per molto tempo, tra Cinquecento e Ottocento, come ha rammentato Crescentini, la scultura fu scambiata per un’opera romana del II secolo. Lo stesso Vasari, nella prima edizione delle sue «Vite» (1550) la ricorda come «antica», mentre nella seconda edizione del 1568 afferma: «In casa del conte di Matalone, nella città medesima, è una testa di cavallo di mano di Donato tanto bella che molti la credono antica». Sempre di Donatello sono esposte la statua in legno policromo di san Girolamo e la testa in gesso del Gattamelata. Due teste di Bregno provengono da una collezione privata, un San Giovanni Battista da Genazzano, una coppia di putti dall’ospedale di Santo Spirito in Sassia. Le altre opere sono attribuzioni.
Interessante il nucleo unitario delle sculture quattrocentesche provenienti dalla Fabbrica di San Pietro della Città del Vaticano. Si tratta di otto frammenti che facevano parte del monumento funebre di papa Paolo II Barbo, realizzato da Mino da Fiesole e Giovanni Dalmata, protagonisti anche loro della scuola romana quattrocentesca. Il grandioso monumento fu smantellato nel 1606 dall’antica basilica di San Pietro in via di demolizione. Di Michelangelo ci sono tre attribuzioni, provenienti da chiese laziali: oltre alla già citata testa di Eolo, un san Giovannino e un leone reggistemma. «Si tratta di un’occasione unica per tornare a parlare di queste opere anche alla luce dei nuovi studi presentati», dice Crescentini, anche se ammette che la documentazione storica non è ancora «esaustiva». Alla fine del percorso, la Madonna del Bacio di Jacopo Sansovino, artista fiorentino attivo a Roma tra il 1506 e il 1527, dove subì l’influenza di Michelangelo.
Lauretta Colonnelli