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 2010  giugno 15 Martedì calendario

COM´ DIFFICILE CELEBRARE L´UNIT D´ITALIA

All´indomani dell´inno ripudiato, il "fratelli d´Italia" improvvidamente sostituito dal coro verdiano, esce un pungente e sconsolato saggio di Emilio Gentile sullo stato di salute del nostro sentimento nazionale (Laterza, pagg. 110, euro 9). Fin dal titolo – Né stato né nazione. Italiani senza meta – appare esplicita la tesi dello studioso, già autore negli anni Novanta di un fondamentale libro sulle alterne vicende del mito nazionale nell´Italia unita. In un mondo sempre più caratterizzato dagli Stati nazionali (e di nazioni che aspirano a diventare Stati nazionali), il nostro paese si distingue per un cammino contrario, fino a versare – alla vigilia del centocinquantesimo compleanno – in una condizione pressoché agonizzante, sia come Stato che come Nazione. «La fiducia nella democrazia appare in declino», scrive Gentile, «e l´orgoglio patrio non contempla né onore né dignità».
La terapia suggerita dai leghisti ossia la disunità d´Italia viene liquidata dallo storico come la più dannosa e la meno praticabile. Rimane però una patologia grave, di cui è difficile prevedere l´esito, se non in forma surreale. L´ultimo capitolo è il racconto delle celebrazioni del 17 marzo del 2011 meticolosamente compilato in una Storia d´Italia del XXI secolo da uno studioso del quarto millennio. Manca però nell´opera il saggio sulla festa del bicentenario dell´unità: non si sa se per ragioni editoriali o perché l´Italia non esiste più.
La diagnosi di Gentile non eccede in ottimismo. Nel solco di Massimo d´Azeglio, ritiene che gli italiani siano «i peggiori nemici dell´Italia unita». D´Azeglio – ci spiega lo storico – non ha mai detto che «fatta l´Italia, bisogna fare gli Italiani». Gli italiani c´erano già, ma erano i peggiori nemici di se stessi perché, fatta l´Italia nuova, «loro rimanevano gl´Italiani vecchi di prima», con tutte «le miserie morali» ereditate da antichi abiti mentali. Occorreva uno scatto di dignità, una rieducazione civile che non sembra ancora compiuta.
Se è difficile prevedere l´esito di questa deriva, lo storico può però domandarsi come ci siamo ridotti così. La risposta di Gentile è che nell´arco di 150 anni gli italiani non hanno mai acquisito il senso dell´identità nazionale. Le feste per le celebrazioni dell´unificazione sono state sempre occasione di divisione. accaduto nel 1911, anno di "lutto nazionale" per i cattolici (ma anche per i socialisti e i repubblicani, estranei al giubileo monarchico). accaduto nel 1961, quando «dimenticando l´odio nutrito dalla Chiesa verso la nazione», il pontefice annette l´unificazione come «disegno della provvidenza», tra le proteste di comunisti e socialisti, liberali e radicali. Sotto il fascismo, poi, le feste dell´unità monarchica erano state oscurate dalle celebrazioni in camicia nera. E nel dopoguerra – questa è la tesi di Gentile – il patrimonio ideale della Resistenza è andato disperdendosi a causa della guerra fredda. Gli ultimi decenni sono segnati da un lento "oblio della nazione": la nazione diventa «un vuoto simulacro, portato sulla scena per esigenze di copione, ma incapace di suscitare negli italiani ideali, sentimenti ed emozioni condivise».
Le fiammate di orgoglio patrio – riaccese improvvise nel corso degli anni Ottanta – vengono ridimensionate da Gentile a "fuochi fatui", rapidi nello spegnersi insieme ai dibattiti intellettuali sulla sopravvivenza della nazione. Da Giulio Bollati a Norberto Bobbio, da Rosario Romeo a Renzo De Felice, sono in tanti a paventare la fine dell´Italia. Ma è troppo tardi per rivitalizzare quella che per lo storico è ormai una salma, prodotta «dalla sclerosi di un sistema politico rimasto per decenni bloccato mentre la società tumultuosamente cambiava». I Novanta rappresentano il decennio della crisi conclamata, con l´irruzione della Lega, che insorge contro la nazione italiana e insulta il Risorgimento. Gian Enrico Rusconi, in un celebre saggio, si domanda se abbiamo cessato di essere una nazione. Il coro delle risposte inclina uniformemente all´epitaffio. «Un popolo sottoposto a un continuo ripensamento della propria identità», è il commento di Gentile, «finisce per perderla o per diventare schizofrenico».
Il terzo millennio si aprirà con il tricolore che sventola sul colle del Quirinale. Ma il "nobile e generoso" tentativo prima di Ciampi poi di Napolitano è destinato a scontrarsi con la «dilagante sfiducia per le istituzioni» e «un crescente disprezzo per la classe politica». Il declino nazionale, oggi, appare inarrestabile. Riuscirà lo stellone dell´Italia repubblicana a compiere il miracolo? Il finale di Italiani senza meta rimane aperto, ma le luci di fondo appaiono sinistre.