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 2010  giugno 15 Martedì calendario

DOSSIER ILLEGALI NELL´INTERESSE DI TRONCHETTI" - MILANO - I

dossier illegali della Security Telecom e Pirelli ai tempi di Giuliano Tavaroli erano stati confezionati nell´«esclusivo interesse» delle due società e dei suoi vertici, l´amministratore delegato, Carlo Buora, e il presidente, Marco Tronchetti Provera. Il contenuto delle pratiche indica «un diretto, chiaro e univoco riferimento a interessi delle due aziende», tanto che «le risultanze delle attività venivano riversate presso le aziende medesime», scrive il giudice per l´udienza preliminare, Mariolina Panasiti, nelle motivazioni, depositate ieri, che hanno demolito l´accusa di appropriazione indebita a carico dei dipendenti e degli investigatori che lavoravano per la Security Telecom. E che di fatto hanno riversato sulle società la responsabilità del dossieraggio illecito.
«La ricostruzione degli avvenimenti - scrive il gup - fornita dai pm e dalle aziende è risultata nettamente smentita nell´incarto processuale, almeno se si vuole dare una lettura logica dei dati emersi, sia testimoniali che documentali». Per la Panasiti, il cui giudizio si colloca sulla scia di quanto già espresso nelle precedenti ordinanze del gip Giuseppe Gennari, le aziende sono responsabili del dossieraggio non solo perché hanno voluto patteggiare la pena prevista dalla Legge 231 per l´omesso controllo sui dipendenti, invece di affrontare il processo, ma soprattutto perché hanno pagato regolarmente le fatture presentate dagli investigatori Cipriani, Bernardini e Spinelli. I compensi sono stati caricati il più delle volte sul cosiddetto "conto del presidente", amministrato da Giancarlo Valente, e sono stati riportati in bilancio «senza alcun rilievo di sorta, sebbene il budget della Security sia cresciuto da 10 milioni fino a toccare i 120 milioni nell´anno 2004».
Il processo per la creazione dei dossier era un automatismo ben rodato e descritto da molti testimoni: l´attività di spionaggio era richiesta dai "clienti interni" di Telecom e Pirelli, ovvero il settore Cavi, Pneumatici, l´Ufficio del personale e altri. Dopo di che gli addetti della Security commissionavano i lavori ai "fornitori esterni" (i vari Cipriani) che, una volta eseguito l´incarico, restituivano un rapporto cartaceo. Il dossier veniva così archiviato in azienda dalle segretarie e la fattura veniva inoltrata per il pagamento all´Ufficio acquisti o a Valente che gestiva il "conto del presidente". «Perché nessuno ha indagato su questo conto del presidente?» si chiede il gup nelle motivazioni. Non si trattava quindi di una Security «impazzita» e «autoreferenziale», ma di un organismo ben inserito nelle dinamiche aziendali. Del resto «non si saprebbe come collocare sotto il profilo logico operazioni come Filtro e Scanning (sui dipendenti), Kroll-Brasil (sui rivali per il controllo di Brasil Telecom) o Vodka Red (su Vodafone), se non individuando un pieno coinvolgimento dell´azienda». Lo stesso si può dire per i dossier a danno di personaggi della vita pubblica, economica e politica italiana (Gnutti, Colaninno, Della Valle, Bernabè, Scaroni, De Benedetti, Tremonti, Bossi, Brancher) monitorati solo perché «erano ritenuti ostili alle due aziende, in particolare al presidente Tronchetti Provera».
E per gli scopi aziendali venivano compiute anche le operazioni di sicurezza del presidente, come interessarsi «dei domestici, delle vacanze, delle vicende più o meno scandalistiche che coinvolgono la moglie, dei parenti della moglie e dei loro legami imbarazzanti, della cognata o della casa parigina». Quanto, invece, alle operazioni Mucca Pazza e Clarabella, molto dibattute in udienza preliminare e incentrate sul giornalista Massimo Mucchetti, e l´ex sindaco di Pirelli-Telecom, Rosalba Casiraghi, per la Panasiti sono nate «dall´acrimonia personale da parte del presidente» e sono da ricondurre a «quell´energica politica aziendale di cui sono state espressione le varie migliaia di report fatti su tutto ciò che avrebbe potuto recare pregiudizio alle due aziende». Il giudice ha poi richiamato una sentenza della Cassazione relativa al "procedimento Enimont" per sostenere la tesi che non c´è appropriazione indebita, quando quei fondi sono usati per perseguire, pur in violazione delle norme e indirettamente, l´oggetto sociale.