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 2010  giugno 15 Martedì calendario

LEGGE SULLE INTERCETTAZIONI GLI ABUSI E GLI ERRORI

Se non sbaglio, le intercettazioni telefoniche ci sono da quando esistono e sono diffusi i telefoni cellulari. Direi quindi non più di 15, massimo 20 anni. Prima di allora, a sentire alcuni, dobbiamo ritenere non ci fosse libertà di stampa. E soprattutto: senza captare conversazioni telefoniche, come facevano i magistrati a svolgere le indagini? Dobbiamo credere che anche garantire una giustizia non fosse possibile?
Luca Brusatassi brusatassi68@hotmail.it Caro Brusatassi,
Le intercettazione venivano fatte anche prima dei telefoni cellulari e furono spesso materia di discussioni e polemiche. Uno degli aspetti più interessanti della questione che domina in questi giorni la politica italiana è il totale ribaltamento degli umori della pubblica opinione. Per parecchi decenni (più o meno fino agli anni Novanta) le intercettazioni ebbero pessima fama e furono considerate biechi strumenti polizieschi. Oggi sono l’orecchio del popolo, la bocca della verità, l’arma della società contro i peccati della casta politica, un indispensabile strumento di trasparenza democratica. I giudizi sono cambiati, naturalmente, perché gli ascolti telefonici hanno permesso alla magistratura di condurre importanti azioni giudiziarie. Ma converrebbe almeno ricordare che possono ancora, come in passato, servire a ricattare e a creare dossier infamanti da usare contro il nemico.
Non so se la legge preparata dal governo sia incostituzionale, ma è, a mio avviso, terribilmente irragionevole. Penso che i magistrati abbiano fatto un uso smodato delle intercettazioni e non abbiano voluto affrontare il problema dei danni collaterali che esse stavano provocando, soprattutto per la vita privata degli italiani. Ma l’idea di contingentarle limitandole ad alcuni reati e fissandone la durata nel tempo è burocratica, illiberale, macchinosa e destinata a intralciare l’opera della magistratura. Redatta in questi termini la legge sa di rivalsa e regolamento di conti: due tentazioni a cui i governi non dovrebbero mai cedere.
Sono meno convinto invece del fatto che la legge debba essere considerata, per la stampa, un «bavaglio» e le impedisca di fare il suo mestiere. I giornalisti sanno di non potere pubblicare tutti i documenti di cui entrano in possesso senza correre il rischio di violare una legge (quella sulla sicurezza nazionale ad esempio), di offendere la sfera privata di un cittadino o di creare pericolosi allarmismi. Ma la conoscenza di un documento, anche quando proviene da una fonte confidenziale e la sua pubblicazione è vietata, permette di fare verifiche, indirizzare domande puntuali, ricercare altri documenti non coperti dal segreto istruttorio. Veniamo da un periodo in cui la notizia consisteva nella rivelazione di una conversazione telefonica registrata, vale a dire nella pubblicazione di un materiale che era frequentemente messo in circolazione da chi aveva interesse a diffonderlo. Questa abitudine ha avuto due effetti negativi. Ha reso i giornalisti troppo dipendenti dalle loro fonti e ha nuociuto al giornalismo investigativo, vale a dire a quella parte del mestiere che lo rende indispensabile alla vita democratica del Paese.
Sergio Romano