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 2010  giugno 15 Martedì calendario

IL CONGEDO (FORZATO) DI PATERNIT [2

Articoli Guerri vs Feltri]
CON IL BEB PER LEGGE? SACROSANTO
Fra i disegni di legge che la Camera ha incomin­ciato a prendere in esa­me mercoledì scorso, uno colpisce parecchio la no­stra attenzione: «Congedo di paternità obbligatorio». Si tratta di un provvedimento che, se diventerà legge, mette­rà i padri davanti a un dovere «legale», non più a congedo facoltativo, oggi richiesto dal 4 per cento scarso dei neopa­pà. Il genitore, subito dopo la nascita del bambino, dovrà stare accanto al neo nucleo fa­miliare per quattro giorni, senza perdere un euro di sti­pendio. Le proposte di legge all’esa­me della commissione Lavo­ro di Montecitorio sono due, molto armoniche fra loro. Per prima è arrivata quella del Pd, scritta da Alessia Mo­sca, seguita subito da quella del Pdl, presentata da Barba­ra Saltamartini, che indica in questo primo passo la neces­sità di conseguire un obietti­vo fondamentale, cioè di «passare dalle pari opportu­nità alle pari responsabilità. E quindi pensare non alla tu­tela delle donne, ma ad un si­stema­che consenta alla fami­glia di organizzarsi ». Splendi­da idea.
In Europa la tendenza a questa nuova concezione del­la paternità ha preso piede da tempo e non mancano esem­pi positivi: in Portogallo per esempio, dove il congedo ob­bligatorio dei padri è previsto dal 2002, la percentuale è sali­ta dal 2 al 22 per cento. Una vera rivoluzione al sapor di pannolino.Certo,c’è da chie­dersi se i datori di lavoro, pub­blici e privati, accetteranno di buon grado questa «spesa» in più, mentre la crisi stringe un po’ ovunque i lacci delle tasche. Dobbiamo però con­siderare che, in un Paese con un tasso di natalità dell’1,2 per cento, come l’Italia, quei quattro giorni congedo non faranno tracollare le finanze. Anzi, giurerei che quei lavora­tori, gratificati dal ruolo dive­nuto indispensabile - per leg­ge e non solo per sentimento - rientreranno in ufficio con una marcia in più, a aumenta­re la propria produttività, co­me padri di famiglia e come uomini responsabili di qual­cosa che non ha prezzo.
Raramente come in questo caso una proposta
di legge va salutata co­me uno strumento per mo­dificare l’assetto non solo tecnico, ma anche e soprat­tutto etico della società. Partire dalla famiglia, indi­viduando e ben delinean­do doveri e responsabilità di entrambi gli individui che costruiscono il nucleo sul quale da sempre si reg­ge la società civile pone le sue fondamenta: è un otti­mo spunto per migliorare la condizione delle fami­glie e soprattutto delle don­ne, che mai e poi mai do­vrebbero sentirsi sole in giornate speciali, traumati­che e faticosissime come quelle subito successive al parto.
Inoltre, fermo restando il ruolo, prezioso e insostitui­bile delle mamme, afferma­re per legge che il padre ha il dovere di essere presente 24 ore su 24 almeno nei pri­mi quattro giorni di vita del proprio figlio (senza fughe dell’ultimo momento ma­gari per un lavoro lasciato a metà), è cosa molto bella, oltre che utile e saggia. Pa­re che il corpo abbia memo­ria sin dai primi momenti di vita: ricordare quattro braccia, ugualmente amo­revoli, nei primi giorni in cui si viene catapultati nel mondo, non potrà che rega­larci individui migliori. E chissà, dopo quei quattro giorni d’intensa vicinanza, i padri saranno più attenti alle loro preziose creature, portando per sempre il lo­ro odore indifeso, magico e neonato nelle narici e nel cuore.
Giordano Bruno Guerri

MACCH: IMPOSIZIONE SENZA SENSO-
La nuova legge di cui sto per raccontarvi è tal­mente assurda, per non dire stupida, che passe­rà in Parlamento tra gli ap­plausi. Mi riferisco al conge­do obbligatorio da conceder­si a chi diventa papà: quattro giorni retribuiti dall’azienda per consentire al neogenito­re di godersi il primo vagito del bebè. Non discuto il dirit­to di un padre ad assistere al­la nascita del suo bimbo e a tutto l’ambaradan che ne consegue. Ci mancherebbe. L’intera operazione della na­scita dura però qualche ora, facciamo pure un giorno inte­ro, non quattro. La maggior parte dei quali, minimo due, vengono trascorsi dalla puer­pera in clinica dove è assistita di tutto punto da medici e in­fermieri. Quando la norma sarà sta­ta ufficialmente approvata, il babbo cosa farà? Mettiamo non voglia perdersi il trava­glio e nemmeno la venuta al mondo della creatura. Mettia­mo si segga accanto al letto della moglie (o convivente; compagna non riesco a scri­verlo perché ricorda il comu­nismo) e se la coccoli un po­chino. Dopo quattro o cin­que o sei o sette ore di «amore mio, ti adoro, mi hai reso feli­ce, consentimi di baciarti» e di tentativi per trovare una so­miglianza del neonato con la nonna Piera o con il nonno Fausto; dopo la tenera visio­ne della poppata numero uno, che fa un disgraziato al capezzale della signora spos­sata dalle spinte e roba del ge­nere? Piglia su e va a casa, e se non ci va è fatale che qualcu­no addetto alle incombenze ospedaliere lo inviti a toglier­si dai piedi, perché disturba. D’accordo,il giorno appres­so il suddetto disgraziato si presume torni in corsia. Nuo­ve coccole, nuove poppate, dibattito sul nome da impor­re al pargolo: bastano due ore? Largheggiamo, tre. Poi? Una noia mortale. Desiderio irrefrenabile di fuga. Dicia­mocelo chiaro e tondo: quat­tro giorni così non li regge nessuno. Anche perché lei al­meno è a letto, sicuramente più comodo e rilassante della seggiola alla quale è condan­nato lui. Avrebbe senso il congedo di quattro giorni se si potesse consumare una volta che la consorte è stata dimessa e ha quin­di la necessità di un aiuto, di condividere col marito gli esercizi richiesti dal piccino. Niente da fare. La li­cenza premio, se ho ben capito, è una specie di arre­sto da scontare in una stanza sanitaria. Capirei se le donne partorissero, come ottanta anni fa, a domicilio e con la collaborazione della levatrice. Nel caso il co­niuge maschio potrebbe addossarsi i servizi domesti­ci, preparare la cena, lavare i piatti eccetera. Ma oggi i lieti eventi hanno luogo in cliniche specializzate dove un papà non può neanche cantare la ninna nanna al pupo senza rischiare di essere considerato un balu­ba.
Mi rendo conto. La legge, presentata da Barbara Sal­tamartini (Pdl) con la firma di vari colleghi, è ispirata alle sacrosante pari opportunità. Uomini e donne pe­rò sono uguali a ogni effetto tranne uno: il parto. Per quanti sforzi facciano, i primi non saranno mai in gra­do di dare alla luce un bambino. In questo sono pro­prio negati. In tutto il resto si adattano, ne hanno l’ob­bligo morale, ma un’epidurale o un taglio cesareo non è decisamente alla loro portata.Pertanto l’appor­to maschile alla causa in questione non andrà mai oltre un modesto contributo al concepimento.
La parità dei sessi non è comunque una chimera: c’è. E se non c’è, parto escluso, va conquistata nella normalità della vita quotidiana, quando marito e mo­glie, essendo identici, devono svolgere le stesse attivi­tà fra le mura domestiche esattamente come in qualsi­asi professione. Non ha ragione di esistere alcuna di­scriminazione: se lei è chirurgo, avvocato, carabinie­re, magistrato, giornalista, operaia, commercialista, notaio,vigilessa,lui è tenuto a curare l’arrosto,a cam­biare i pannolini all’erede, a lavare i pavimenti, cioè a intercambiarsi con la dolce metà, altrimenti che me­tà è?
Poche balle. Il matrimonio è un contratto in cui, da­ta per scontata la parità, i contraenti sono pregati di dividersi equamente il lavoro in famiglia. Chi sgarra, e non è detto sia per forzal’uomo,commette un grave errore. Non è più tempo di mariti in poltrona col gior­nale fra le mani e di mogli che li servono, correndo dai fornelli alla camera dei bambini, dalla levatrice ai pan­ni stesi. E se una donna ha il dubbio di non poter avere un rapporto di mutuo soccorso con il coniuge ha una sola difesa: non sposarsi. E l’uomo? Idem.
Ma se lei va in sala parto, lui la può solo accompa­gnare. Quattro giorni di congedo per fare quattro pas­si all’ospedale sono troppi per fugare il sospetto si trat­ti di ossequio a una moda insulsa.