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 2010  giugno 14 Lunedì calendario

KERVIEL, IL GRANDE ENIGMA "HO SBANCATO SOCGEN MA LORO SAPEVANO TUTTO" QUEL SANDWICH ALLA SCRIVANIA COMINCIATO A PARIGI CON GRANDE CLAMORE IL PROCESSO PER "INFEDELT AZIENDALE" AL BROKER CHE HA FATTO PERDERE 5 MILIARDI ALLA PRESTIGIOSA SOCIT GNRALE

Jerome Kerviel, 33 anni, rischia 5 anni di carcere e una multa di 375 mila euro: è accusato tecnicamente di aver tradito la fiducia della sua società e specificamente di falsificazioni e abuso nell’utilizzo del computer aziendale. Non è detenuto, e attualmente lavora come consulente ed ha uno stipendio di 2.300 euro mensili. A SocGen invece percepiva un salario di 48mila euro e bonus annuali che andavano da 60 mila a 300mila euro. Nella prima udienza del processo l’8 giugno ha raccontato di essere stato "incoraggiato ad assumere rischi eccessivi" dai suoi capi. "I loro quotidiani incoraggiamenti non mi frenavano, piuttosto mi incoraggiavano. Vivevo situazioni estreme, fisicamente stremanti". Si prendeva pause brevissime e a colazione mangiava un sandwich restando seduto al suo desk. "Vivevo per raggiungere i target che mi davano. Solo gli incoraggiamenti dei miei superiori ha spiegato ai giudici della Corte riuscivano a farmi tirare avanti".

«Il denaro è il letame su cui cresce l’umanità di domani». Emile Zola disegnava la realtà a tratti spessi, ma non mancava di immagini efficaci e la sua descrizione dello speculatore Aristide Saccard, protagonista di due romanzi dei RougonMacquart, non ha perso la sua attualità. Certo, Saccard saliva la scalinata di Palazzo Brongniart e affrontava a viso scoperto la "corbeille". Oggi, invece, gli speculatori sono confinati nelle sale di mercato di grattacieli anonimi, hanno a disposizione strumenti sofisticatissimi, spostano cifre che il buon Zola neanche si sarebbe immaginato. Ma osservando Jérome Kerviel, l’uomo che ha fatto perdere alla Société Générale 5 miliardi di euro e messo in pericolo l’esistenza stessa della banca, non si può non pensare a Saccard, che agiva «con eccessi di febbre, applicando al terreno finanziario il metodo della cultura intensiva, scaldando, surriscaldando il suolo, rischiando di bruciare il raccolto».
Saccard, tuttavia, giocava i suoi soldi, Kerviel quelli della banca per cui lavorava. Non solo: il gusto del guadagno, dell’intascare i soldi (magari per strapagare una notte d’amore, come quella con Madame de Jeumont), non sono quelli del giovane trader francese sotto processo in questi giorni. Saccard ha un rapporto carnale e passionale con il denaro, la speculazione nasce dalle sue trippe; Kerviel sembra quasi un uomo disincarnato, denaro e speculazione sono per lui un’astrazione: guadagnare cifre astronomiche è come risolvere un enigma matematico, dare vita alle x, y, z di un’incognita algebrica. Saccard è un uomo, Kerviel assomiglia a un automa, non un giocatore di scacchi ma il computer che gioca a scacchi.
«Il mistero Kerviel» è diventato il titolo più banale della stampa transalpina. Difficile, in effetti, trovare una logica in quest’uomo apparentemente così anonimo, qualunque. Come si può scommettere puntando 49 miliardi di euro, una cifra che il comune dei mortali non può nemmeno raffigurarsi? E come si può farlo senza nessun interesse personale, visto che nessuno accusa Kerviel di essersi appropriato nemmeno un euro? Kerviel, il concretissimo uomo Kerviel s’identifica solo con un’astrazione: puntare soldi che considera virtuali (ma non lo sono) in un casinò planetario virtuale (che non lo è). E oggi, per difendersi, sostiene una tesi: sono una vittima della follia bancaria, una semplice pedina di un sistema impazzito. Un argomento plausibile, ma tutt’altro che certo.
Chi è Jérome Kerviel ? All’origine un ragazzo senza storie, figlio di una coppia modesta (il padre insegna in un centro di apprendistato, la madre è parrucchiera), fin da ragazzino attratto dalla finanza. E a occuparsi di finanza c’è arrivato per vie assolutamente normali. Kerviel non è un Mozart dei derivati, è entrato alla Société Générale come un impiegato senza grande importanza. Ma il suo pallino lo ha fatto salire fino ad arrivare in quella sala dei trader che per lui è sempre stata un sogno, un’ossessione e una consacrazione.
Il ragazzo è bravo, intelligente. I suoi superiori l’apprezzano. E come in qualsiasi azienda, viene messo alla prova e promosso, fino a diventare trader. Piano piano, capisce tutti i meccanismi e i segreti di un mestiere delicato, in cui sono in ballo cifre astronomiche. Kerviel punta. E vince. Come in un casinò: «La passività dei miei superiori mi ha spinto a continuare. Sono stato coinvolto in una spirale in cui io stesso mi sono rinchiuso, senza poterne uscire», racconta agli inquirenti.
Kerviel è spericolato, ma guadagna soldi. Tanti. Nel 2007 chiede un bonus di 600 mila euro : gliene daranno 300 mila.
Difficile immaginare che i suoi superiori non avessero capito niente. Forse non sospettavano le cifre che il trader metteva in gioco, ma i guadagni, sostanziosi, li vedevano. Ed erano contenti.
Kerviel impegna cifre enormi. Per non farsi scoprire, mette a segno un sistema ingegnoso: protegge le sue operazioni speculative con operazioni fittizie inserite nei computer a sera, al momento della chiusura. E’ letteralmente ossessionato dal gioco, tanto da restare ore e ore davanti al suo computer, tanto da non prendere ferie.
Non ci sono regole alla Générale? Non ci sono limiti per i suoi trader? Formalmente sì, ma qualche dubbio resta.
Privatizzata nel 1987, ha sempre difeso gelosamente la propria indipendenza, rifiutando di integrarsi in un altro gruppo bancario. Gestita molto bene, ha continuato a distribuire dividendi ai suoi azionisti, ma più che con le attività commerciali tradizionali ha fatto profitti con le attività di mercato. Cioè speculando, anche se il termine non piace ai suoi dirigenti. Forse anche per questo non si sono accorti che Kerviel aveva superato tutti i limiti.
Ma per lui e il suo avvocato (Olivier Metner, un principe del foro protagonista dei più famosi casi politicofinanziari) puntare il dito contro la Générale è fin troppo facile. Certo, i controlli non dovevano essere molto rigorosi, ma nascondere le responsabilità individuali sotto il tappeto di quelle collettive è un giochino un po’ infantile. E del resto, Kerviel ha qualcosa di infantile. Qualcosa che sfugge, visto che non si capisce granché della sua personalità. Per lui i soldi sono semplici numeri: se sui mercati mondiali si scambiano 370 mila miliardi di dollari, impegnare 49 miliardi di euro è effettivamente poca roba. Ma per ammetterlo bisogna avere un forte senso della relatività.
«Tutto quel che facevo era completamente fesso. Tutto quel che facevo si vedeva», ha detto la settimana scorsa in tribunale. Il suo ritornello è quasi noioso: «I miei sapevano e fingevano di non vedere. Finché ho guadagnato soldi, mi hanno lasciato fare».
Cioè fino a quando Daniel Bouton, all’epoca presidente e amministratore delegato della Société Générale, scopre in un fine settimana del gennaio 2008 che un trader, di cui probabilmente non ha mai sentito parlare, è esposto per la bellezza di 49 miliardi.
Una cifra che può far fallire anche un istituto più solido della Générale. In quarantott’ore, gli impegni di Kerviel vengono sistemati con un prezzo salatissimo: una perdita di quasi cinque miliardi. Nel giro di poche ore, l’intero pianeta s’interroga sui fini di questo trentenne che non si è messo un euro in tasca, ma che ha messo in pericolo l’esistenza della sua banca.
I motivi del suo comportamento restano misteriosi. I primi interrogatori durante il processo non portano elementi nuovi, Kerviel risponde sempre le stesse cose. Si appoggia sulle note di chi lo controllava: «Serio, rigoroso, eccellente nell’uso degli strumenti informatici». Ma qualcuno aveva messo in guardia contro il superlavoro del trader, incapace di staccarsi dai suoi affari spericolati: «Attenzione al surriscaldamento, disporre periodi di riposo». Surriscaldamento, un termine che ricorda Zola, il sintomo di una perdita di controllo. Ma secondo Kerviel, l’équipe dei trader con cui lavorava superava quasi ogni giorno il limite di rischio fissato dalla banca a 125 milioni: «Prendere posizioni speculative non rientrava nel mio mandato, ma i miei superiori mi hanno chiesto di farlo, perché faceva guadagnare soldi».
E’ una difesa verosimile, anche se incapace di portare la minima prova: con tutta la diffidenza possibile verso le banche, è difficile immaginare che potessero lasciare un trader (e uno solo, per quel che si sa) prendere rischi tanto grandi. E non si capisce perché Kerviel dissimulasse le sue operazioni, se i capi erano davvero d’accordo con lui. No, il segreto è probabilmente nascosto nella personalità del trader bretone, nel quale si riconoscono, oltre a un parte di mistero, i tratti del bambino incapace di staccarsi dal suo giocattolo, lo scommettitore deciso a spingere le sue ossessioni fino all’estremo limite, e il freddo manipolatore. Chi sia il vero Kerviel è impossibile dire. Il tribunale parigino tenta in qualche settimana di svelare il mistero di questo ragazzo apparentemente impassibile, capace di sopportare la pressione di un processo pubblicizzato al massimo. Dietro il suo sguardo impenetrabile si nasconde forse la fibra sanguigna dell’Aristide Saccard inventato da Emile Zola.