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 2010  giugno 17 Giovedì calendario

QUEL VITTORIO HA MOLTI GRILLI PER LA TESTA


Sarà perché il suo ministro, Giulio Tremonti, difficilmente si fida, e quando si fida, si fida davvero, ma due fra le nomine più complicate delle partite pubbliche (la Cassa depositi e prestiti) e bancarie (il Consiglio di gestione Intesa Sanpaolo) hanno il sigillo della sua influenza. Non che Vittorio Grilli, il direttore generale del Tesoro, il dicastero più caliente del momento, abbia fatto nulla per farlo sapere in giro. Da parte sua, mai (quasi) un’intervista. Raramente una dichiarazione. Ha scelto l’ombra, solo in attesa, probabilmente, di una luce per cui valga sul serio la pena di uscire allo scoperto.
Questa volta però, il peso e la sintonia con il gran capo carismatico dell’Economia sono apparsi a tutta la comunità economica e finanziaria più assordanti del suo prevedibile silenzio. Alla Cdp, la società finanziatrice piena di dobloni controllata dal ministero e, per il 30 per cento, dalle fondazioni bancarie, è stato nominato amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini, un galantuomo, secondo tutti molto capace, ex capo di Mittel, anche suo compagno di banco nel cda di Borsa Italiana. Alla presidenza del Consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo su cui si era aperto uno scontro politico-bancario dal quale non si vedeva la fine a causa della candidatura di Domenico Siniscalco, con un blitz riuscito alla grande è stato insediato Andrea Beltratti, allievo di Grilli quando era stato per quattro anni professore a Yale, uno di quei posticini dove si erudiscono futuri presidenti e capi di Stato, Rubiconi definitivi tra quelli che ci sono stati e gli sventurati che no.
Così Grilli ha portato a casa due colpacci. Il segno del suo peso strategico. E l’essere riuscito a determinare due nomine non politiche nel paese più lottizzato, più politico e più filo cricca del vecchio mondo. Soprattutto visto che la mitologia narra anche quanto Beltratti fosse sconosciuto non solo a Tremonti ma persino al presidente del Consiglio di sorveglianza Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, ormai più che un banchiere, un sacerdote della finanza, forse il più grande, forse l’ultimo. Sintesi inesorabile: se Tremonti è il premier ombra, Grilli è l’ombra del premier ombra. In un posto chiave, in un momento chiave.
Ombre. Si fa per dire. Nulla di meno immateriale del potere che sanno esercitare anche troppo bene. Così ora la strada del nostro, 53 anni, volto pallido dai lineamenti preraffaelliti, nei suoi vestiti lo stile dei luoghi in cui ha vissuto, milanese bocconiano, una borsa di studio della Banca d’Italia per un Phd all’università di Rochester, direttore generale da un lustro, economista di indubbio valore stimato in campo internazionale, sembra proprio segnata. Legatissimo e fedelissimo a Tremonti di cui ha saputo conquistare la fiducia, e si sa, non è per niente facile, anche grazie alla comune ossessione per la riservatezza, Grilli è stato capace negli anni di istituire alleanze con establishment nascenti, di saper convivere nell’orbita di leadership emergenti. Nello stupore di mezzo mondo è passato indenne dall’entourage di Carlo Azeglio Ciampi a quello del professore di Sondrio, leale al governo del momento in modo tecnico e non servile, anche se non si sa mai cosa gli passi per la mente, quasi avesse un filtro incorporato per rendere asettici i suoi pensieri, nota con cura chi lo conosce bene.
Attenti al professor Grilli, dunque. Dietro a Tremonti, dietro a Mario Draghi, lui è pronto per tutte le potenziali e future cariche che si potrebbero presentare, dal governo alla Banca d’Italia. Serio e composto, per alcuni perfetto nell’interpretazione di come si conviene che sia un uomo del suo livello e del suo rango, per altri così ingessato da sembrare sotto un effetto total body di botulino, va in giro ma non appare, non parla e quindi non commette errori e non fa gaffe. Eppur si muove eccome, nei vertici di Bruxelles e Strasburgo, dove è lo sherpa del ministro nelle trattative internazionali, e lo si è visto in prima linea durante la crisi ellenica nello sponsorizzare il Fondo per stabilizzare l’euro nato nella culla del ministero di Tremonti, poi perfezionato in ambito Ue e alla fine digerito dall’asse franco-tedesco. Sulla faccenda, pur assediato dai giornalisti, Grilli è stato come la moglie di Lot: si è trasformato in una statua di sale. Tale e quale a Hans Tietmeyer, prima che diventasse governatore della Bundesbank. Tale e quale al suo modello comunicativo: pari a zero.
Una famiglia agiata, padana e borghese, il padre, Massimo, imprenditore, la madre, Maria Ines Colnaghi, nota biologa all’Istituto dei tumori, una moglie americana, Lisa Lowenstein, e ora una nuova compagna da cui ha avuto una figlia, Grilli, medico mancato, a 29 anni comincia a insegnare a Yale (poi passerà all’università di Londra) e lì conosce il meglio, Draghi, Luigi Spaventa, Francesco Giavazzi. Sono loro, nel ’94, ad aprirgli le porte del ministero del Tesoro, nominandolo capo della direzione di Analisi economica-finanziaria e privatizzazioni. Nel 2000, Grilli torna in cattedra, questa volta alla Bocconi, e passa un anno al Credit Suisse First Boston. solo una pausa. Nel 2002, il ritorno a via XX settembre: è il successore dell’eterno Ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio, scelto da Silvio Berlusconi con Ciampi al Quirinale. Tre anni dopo, quando Siniscalco viene nominato ministro al posto di Tremonti, lo sostituisce alla direzione generale. Con lui non è amour fou, e nemmeno con Tommaso Padoa-Schioppa. Ma con il team di Tremonti, con Vincenzo Fortunato, sveglissimo e potente capo di gabinetto, con Gaetano Caputi, capo dell’ufficio legislativo, anche la sera a guardare le partite in tv (pro Inter, lui che gioca anche a calcetto, oltre che a golf).
Negli anni, è stato consigliere di Enel, Wind, Alitalia, ma soprattutto si è molto dedicato all’Iit, l’istituto italiano di tecnologia di Genova, di cui è presidente del comitato esecutivo. Nel cda, siedono Gabriele Galateri, Fabrizio Saccomanni (direttore generale di Banca d’Italia, amico fraterno di Draghi), Gian Felice Rocca, Paolo Scaroni, Sergio Dompé, un bel miscuglio di Aspen, Harvard Business School, Trilateral Commission, quella di David Rockefeller e Zbigniew Brzezinski, insomma i "padroni del mondo", (quelli che lo sono e quelli che ambiscono a esserlo), direbbe Tom Wolfe. Ma l’Iit, nato per sovvenzionare e incentivare la ricerca, è stato oggetto di polemiche da parte di centri di eccellenza e università, infastiditi dal ricco portafoglio, un miliardo in dieci anni. Una cifra notevole: cento milioni ogni dodici mesi erogati proprio dal ministero dove Grilli è direttore generale.
Emblema della nuova generazione di civil servant o grand commis (l’altro è Lorenzo Bini Smaghi, membro della Bce e prima o poi i due incroceranno i loro destini), Grilli, umanamente definito al massimo "civile"o "cortese" mica da chi ne diffida, no, da chi lo stima e molto, (ma in un articolo sul vino, di cui va pazzo, chiestogli dall’economista dalemiano Nicola Rossi parla di amore "intenso e coinvolgente", di "riscoperta dell’uso dei sensi"...) manda avanti il suo progetto ambizioso, nuotando mediaticamente controcorrente, e certo questo è strepitoso. Siede su una poltrona che porta bene, che finora non ha deluso. stata di Draghi e di Siniscalco. Come non insegnano a Yale, ma dicono al bar, non c’è due senza tre.