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 2010  giugno 17 Giovedì calendario

PER LA BP UN BEL DISASTRO


Milioni di litri di petrolio che si versano nell’Atlantico ogni giorno per colpa sua. L’opinione pubblica che la odia. Il presidente Obama che la vorrebbe in tribunale. Quanto basta per far fallire qualsiasi compagnia. Eppure le azioni della British Petroleum, sebbene declassate da Merrill Lynch e da Moody’s, continuano ad essere le beniamine degli analisti. E questo malgrado il fatto che nella migliore delle ipotesi la compagnia potrebbe essere responsabile di qualcosa come 10 miliardi di dollari di danni. "Questo è il momento di comprare BP", afferma Fadel Gheit, analista della Oppenheimer. Gheit alla fine di maggio ne ha addirittura migliorato il rating prevedendo un’impennata del suo valore: "Il potenziale di crescita supera di gran lunga i risultati negativi causati dalla fuoriuscita di greggio".
Gheit non è l’unico. Anche Michael Santoli, analista di "Barrons", pensa che i timori di fallimento della BP siano infondati. "Il mondo ha bisogno di petrolio. Una volta tappata la falla e partite le denunce, la situazione ritornerà alla normalità", afferma Santoli, e poi: "La storia insegna che le grandi aziende che finiscono nei guai alla fine se la cavano sempre. stato così per la Exxon all’epoca dell’incidente in Alaska, e per la Phillipp Morris quando la condannarono a pagare centinaia di miliardi di danni ai fumatori ammalati di cancro".
Liscio come il petrolio? I fatti danno ragione a Santoli. Infatti, anche se riescono ad escludere la BP da contratti futuri, non le si può impedire di trivellare dove già detiene le concessioni. E se poi si esamina la storia di altri disastri si scopre che, passata la crisi, le aziende risorgono sul mercato più forti che mai.
 il caso della Exxon che, dopo l’incidente di Prince William Sound, quando una sua nave cisterna versò oltre 40 milioni di litri di petrolio nelle acque dell’Alaska. L’incidente inquinò oltre 2100 chilometri di costa sul Pacifico e 28 mila chilometri quadrati di oceano. Ma a venti anni dalla marea nera, la Exxon è l’azienda più redditizia al mondo e il titolo è cresciuto del 930 per cento.
Lo stesso è accaduto anche per il dramma di Bophal del 1984, nel quale persero la vita quasi 4 mila persone e mezzo milione furono intossicate. Responsabile la Union Carbide, colosso chimico poi assorbito dalla Dow Chemical: dal suo stabilimento di Bophal uscì una nube di metilisocianato, un potentissimo pesticida. Quando nel 2001 fu assorbita dalla Dow, l’azione valeva pressappoco quanto valeva prima dell’incidente. Nel caso della Philip Morris, che nel 2000 fu protagonista di un disastro di tipo legale, il titolo adesso ha una quotazione superiore di un terzo a dieci anni fa. Riconoscendo una class action promossa da un gruppo fumatori ammalati di cancro, il tribunale di Miami l’aveva condannata a pagare 75 miliardi di dollari. "I procedimenti legali durano anni, si impantanano e vengono ribaltati", afferma Mark Fletcher, analista del Citigroup. "Le previsioni dei danni anche adesso sono esagerate", aggiunge Fletcher: "Assumendo che possano essere rivendicati, danni nell’ordine del miliardo di dollari più interessi mi sembrano più ragionevoli. Una cifra che rappresenta un decimo dei profitti annuali della BP".
L’ottimismo di Fletcher è contagioso. Secondo un sondaggio di "The Street" (uno dei più noti periodici economici Internet), il 43 per cento degli operatori di Borsa è convinto che il titolo da seguire tra i petroliferi sia proprio BP. Ovviamente se il gruppo dirigente non finisce in carcere, e la compagnia non viene liquidata per soddisfare le richieste di danni. Ma di quello Tony Hayward, amministratore della BP, si deve preoccupare ben poco: ad oltre un quarto di secolo dal terrore chimico di Bophal nessun dirigente statunitense è finito in cella. Solo i manager indiani, pochi giorni fa, sono stati condannati a due anni di carcere.