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 2010  giugno 17 Giovedì calendario

PIU’ GIOVANI CHE DISOCCUPATI, L’ITALIA UN PAESE DI TRENTENNI SENZA UN MESTIERE


La generazione dei giovani di oggi vive una condizione particolare, per non dire unica. Nessuna generazione precedente ha mai avuto un tenore di vita così alto, tanta libertà personale, tanta protezione da parte dei genitori, tanta indulgenza da parte degli insegnanti, tanta attenzione da pane dei media. Ma nessuna generazione è mai stata così drammaticamente dipendente dalla famiglia: il benessere dei giovani è in gran parte frutto del lavoro dei genitori, perché loro, i giovani, di lavoro ne trovano ben poco, quando lo trovano spesso è precario, quasi sempre sottopagato.
Perché siamo arrivati a questo punto? Gli studiosi di solito invocano due spiegazioni, una politica, l’altra economica. La spiegazione politica è che sinistra e sindacati si sono concentrati nella tutela dei padri, difendendone i privilegi occupazionali e pensionistici, senza rendersi conto che in questo modo a pagare sarebbero state le donne e i giovani, su cui infatti si è scaricata la domanda di flessibilità delle imprese: il costo della inamovibilità dei padri l’hanno pagato i figli con lavori sempre meno sicuri, sempre meno retribuiti. La spiegazione economica è che l’apparato produttivo dell’Italia non è stato capace di riconvertirsi, abbandonando le produzioni tradizionali a favore di quelle ad alto valore aggiunto: di qui sia un rallentamento della crescita, frenata dalla concorrenza dei paesi emergenti, sia una scarsa domanda di lavoro ad alta qualificazione (ingegneri, biologi, fisici, ricercatori, scienziati...).
Entrambe le spiegazioni attirano l’attenzione sulle carenze della domanda di lavoro, sulla mancanza di «buoni» posti, adatti ai nostri giovani, e quindi capaci di emanciparli dalla tutela familiare. C’è però un altro lato della storia, che rimane sempre in ombra e riguarda invece l’offerta di lavoro: il capitale umano dei giovani, ossia il loro sapere e saper fare, in Italia è bassissimo.
Purtroppo mancano statistiche accurate e complete, ma una ricostruzione di larga massima ci pone di fronte a una dura realtà. Su 100 giovani ultratrentenni solo 40 hanno un mestiere in senso proprio, ossia un diploma tecnico-professionale (29 per cento) o un’istruzione universitaria completa (11). Gli altri si dividono in due gruppi principali. Il primo (16 per cento) è quello dei giovani «semistruiti», che dopo l’obbligo hanno frequentato corsi più o meno professionalizzanti ma corti: scuole professionali di 2-4 anni, senza accesso all’università, corsi di laurea triennali. Il secondo gruppo (44 per cento) è quello dei giovani del tutto privi di un mestiere: giovani che si sono fermati alla licenza media o addirittura a quella elementare (34), giovani che hanno fatto un liceo e si sono perduti nell’università, senza conseguire nemmeno una laurea triennale (10). Un dramma di cui nessuno parla e che pone una seria ipoteca sul futuro dell’Italia: come può crescere un paese in cui quasi la metà dei giovani ultratrentenni è del tutto priva di un mestiere?