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 2010  giugno 03 Giovedì calendario

QUEI DRONI ISRAELIANI USATI DA ANKARA COTRO I RIBELLI CURDI - ISTANBUL’ I

politici minacciano, i generali si telefonano. In nome di un’intesa strategica che (per ora) i due Paesi non vogliono vedere affondare al largo di Gaza. La crisi diplomatica non ha fermato i contatti tra Ilker Basbug, capo di stato maggiore turco, e il parigrado israeliano Gabi Ashkenazi, che si sono sentiti a poche ore dall’arrembaggio delle forze speciali. Perché la relazione è proficua: le industrie israeliane vendono, il ministero della Difesa ad Ankara compra. Tecnologia avanzata, armi, istruttori.
L’accordo di cooperazione militare firmato nel 1996 sembra blindato, anche se ieri il parlamento ha approvato (per alzata di mano) un documento che chiede al governo di Recep Tayyip Erdogan la revisione di tutti i rapporti con Israele. Il valore dei tredici progetti condivisi in questi anni ha toccato i due miliardi di dollari. Sei sono ancora da completare e Vecdi Gonul, ministro della Difesa, si è affrettato a precisare lunedì che la Turchia attende la consegna degli ultimi droni prenotati e pagati. «Il piano va avanti, non può essere fermato dai contrasti e dalle divisioni».
L’esercito ha aspettato a lungo di poter far decollare gli aerei senza pilota prodotti dalle Israel Aerospace Industries e dalla Elbit, valore del contratto 185 milioni di dollari. Ordinati nel 2005, i primi velivoli (sei su dieci) sono arrivati così in ritardo che tra i due Paesi si era aperta anche allora una crisi. Gli israeliani hanno offerto come risarcimento di dare in affitto i droni (per 10 milioni di dollari) e di «prestare» i loro aviatori per aiutare le forze armate turche. I consiglieri della Iai’ ha rivelato il Turkish Daily News tre anni fa – avrebbero affiancato le missioni dei jet telecomandati contro i ribelli curdi nel nord dell’Iraq.
I droni Heron sono gli stessi che Tsahal usa sopra i cieli della Striscia di Gaza. Di quarta generazione, decollo e atterraggio automatici, i sistemi a bordo possono fornire intelligence in tempo reale giorno e notte, l’autonomia è di ventiquattro ore. Sono disarmati: in battaglia servono per monitorare i movimenti del nemico e i turchi li usano per recuperare informazioni sulle postazioni e i leader del Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan.
«I progetti più importanti tra i due Paesi sono conclusi’ commenta Ozgur Eksi, analista per il quotidiano Hürriyet – e il nostro stato maggiore è preoccupato che gli israeliani rallentino la cooperazione, perché in questo settore saremmo noi a perderci di più». Per un miliardo di dollari in totale, le società israeliane hanno appena finito di modernizzare i tank M60 e i jet F4 turchi. Stanno concorrendo nelle gare d’appalto per un sistema missilistico a corto raggio e a un radar di sorveglianza costiera. Anche le relazioni (e gli scambi di dossier) tra i due servizi segreti sono robusti e dovrebbero reggere agli scossoni geopolitici.
Dopo l’assalto alla Flotta della libertà, Ankara ha cancellato tre manovre militari congiunte. «Non è una grande ritorsione, una mossa più d’immagine che strategica. Possono trovare un altro partner», spiega Eksi. Nell’ottobre 2009, il governo aveva escluso Israele dalle esercitazioni aeronautiche Nato (operazione Aquila dell’Anatolia) in risposta ai ventidue giorni di offensiva contro Gaza. «Com’è possibile che voli nei nostri cieli chi ha bombardato i palestinesi?», chiedeva nell’editoriale un giornale turco. Eppure gli stessi droni volano sopra le sabbie della Striscia a caccia dei miliziani di Hamas e tra le montagne all’inseguimento dei combattenti curdi.