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 2010  giugno 03 Giovedì calendario

DIECI UOMINI D’ORO

(calciatori al Mondiale in Sudafrica) -

Un veteromarxista anonimo, difensore roccioso da campo di periferia, ha affermato che il calciatore è l’unico lavoratore capace di prevalere (lui usa un’espressione più grassa) sul padrone. I più temibili fra questi proletari sono in partenza per il Sudafrica, dove l’11 giugno incomincia la Coppa del Mondo. la prima che si gioca in Africa, dove ci sono nove dei dieci Paesi più poveri della Terra. I primi 15 giocatori selezionati per il Mondiale hanno ricavi annuali complessivi per 322,2 milioni di euro, circa un terzo del prodotto interno lordo della Guinea Bissau. Eppure, nessuna invidia. Da Città del Capo a Johannesburg l’attesa per lo sbarco delle superstar del football è spasmodica. A Soweto, la township di Jo’burg da dove è partita la rivolta anti-apartheid e dove ancora abitano Winnie Mandela e Desmond Tutu, si gioca per strada o sugli sterrati che tolgono la pelle. Il calcio è malattia a Soweto. Può capitare di incontrare il super esperto locale in storia del Milan che si informa sull’attuale occupazione di due ex giocatori rossoneri non di primissimo livello (Evani ed Eranio). O si può vedere un mural con lo stemma del Piacenza e il nome di Pietro Vierchowod. La massima soddisfazione per i neri di qui è avere conquistato al football lo stadio di Ellis Park, ormai ex tempio del rugby dei bianchi.
Sudafrica 2010 è l’ennesimo colpo vincente dello svizzero Sepp Blatter, ex ala destra del Neuchâtel Xamax e monarca a vita della Fifa, la Federazione internazionale con base a Zurigo. Blatter e il suo segretario generale, il francese Jérôme Valcke, hanno le idee chiare. Vogliono aprire un nuovo mercato di consumo, nel Paese più ricco del Continente. Per farlo, utilizzano le stelle a titolo gratuito perché non è la Fifa a pagarle, ma i club e le aziende che le utilizzano come sponsor. Leo Messi, Cristiano Ronaldo, Kakà sono gli arieti che moltiplicheranno per due l’investimento della Fifa negli impianti sudafricani: 1,2 miliardi di euro spesi per un guadagno previsto di 2,5 miliardi.
Se le attese saranno confermate, Nike, Adidas, gruppi di telecomunicazioni, dell’alimentare e tutte le multinazionali che hanno scommesso sui divi del pallone, avranno il loro ritorno. Mentre le Olimpiadi hanno portato la Grecia sull’orlo della rovina, il calcio potrebbe equivalere a una crescita economica per il paese ospitante stimata dal governo sudafricano fra mezzo punto e un punto di Pil in più (fra 4 e 8 miliardi circa).
Una parte di questa massa di denaro finirà nelle tasche dei top player. Dai Mondiali di Germania 2006 a oggi, non c’è stato un anno in cui i proprietari dei club non abbiano parlato di tagliare le spese di ingaggi. Ma la crisi l’hanno pagata i giocatori di media e bassa fortuna. Gli stipendi dei big hanno continuato a crescere e continueranno a farlo. Nella hit parade dei guadagni ci sono fenomeni tecnici, fenomeni mediatici e atleti che combinano entrambe le caratteristiche.
Ci sono le storie strappalacrime di giovani poveri come Messi, 47 gol in stagione, partito bambino da Rosario in Argentina insieme alla famiglia. Il Barcellona si era offerto di pagare i mille dollari mensili necessari alla crescita del piccolo Leo. Che poteva scegliere la selezione spagnola ma ha preferito la patria, a costo di subire le critiche di chi sostiene che con la maglietta albiceleste non rende perché, appunto, non è abbastanza argentino.
Dal lumpenproletariat arriva Carlos Tévez, cresciuto in un ghetto bonaerense soprannominato Fuerte Apache. A dieci mesi Carlitos è stato sfigurato in viso dall’acqua bollente caduta da una pentola di casa. Qualche anno dopo, quando si è capito che stava diventando un grande, è stato comprato come fosse una casa o un cavallo. Il padrone di Tévez non era la squadra per cui giocava, ma la Msi, una finanziaria off shore controllata dall’angloiraniano Kia Joorabchian, un finanziere controverso che aveva in scuderia anche l’altro nazionale Javier Mascherano, contro ogni norma della Fifa e contro il semplice buon senso umanitario.
Oggi che è stato liberato dalla Msi ed è stato coperto di soldi dalla famiglia al Nahyan, gli emiri di Abu Dhabi proprietari del Manchester City, Tévez ha largamente di che pagarsi un intervento di chirurgia estetica ma ha sempre rifiutato. Dice che chi gli vuole bene gli vuole bene anche con la cicatrice in faccia. Un posizione ideologica e, come tale, costosa. Tévez incassa appena un decimo dei suoi 15 milioni di euro annui dai contratti pubblicitari.
Le storie di riscatto dalla base della piramide sociale si fanno più rare nel calcio dei Paperoni. Se si sale da troppo in basso, è possibile ottenere un ottimo salario ma è difficile guadagnare bene con gli sponsor, dunque è più faticoso entrare in classifica. Kakà è l’esempio della borghesia al potere. Il brasiliano ha costruito la sua carriera sportiva e imprenditoriale sotto il controllo del padre manager, l’ingegnere paulista Bosco Izecson Leite, e della madre Cristina, insegnante di matematica. La suocera di Kakà è amministratore delegato di Christian Dior Brasile e, finché Ricky giocava in Italia, la giovane moglie Caroline Celico gestiva un’impresa di catering che aveva fra le commesse principali il ricevimento di Natale del Milan.
Nella categoria glamour il primato va senz’altro a David Beckham, non convocato nell’Inghilterra di Fabio Capello dopo l’incidente al tendine di Achille ma pur sempre uomo da oltre 30 milioni all’anno con una struttura societaria retta dalla holding Footwork e due accademie di calcio, una a Londra e una a Los Angeles. Golden Balls, secondo il soprannome tout en finesse datogli dalla moglie Victoria, è finora il più grande fenomeno industriale e mediatico della storia del calcio. Giocatore di qualità media, ad essere generosi, l’inglese continua a moltiplicare i contratti di sponsorizzazione: 25 milioni di euro nel 2009 contro lo "squallore" di 5,4 milioni di ingaggio pagato in parte dai californiani del Galaxy e in parte dal Milan. Becks è talmente ricco da godersi il lusso supremo del potere economico: il conflitto di interessi. Una delle sue società, la 1966 ltd che porta la data dell’unico Mondiale vinto dall’Inghilterra, gestisce gli interessi commerciali della Nazionale allenata da Fabio Capello. Senza la rottura del tendine, il centrocampista sarebbe stato l’amministratore di se stesso e dei compagni di Nazionale. Andrà in Sudafrica comunque, da manager e da commentatore televisivo.
Beckham è a fine carriera. Continuerà a guadagnare molto bene e forse dopo il ritiro riuscirà a tenere il posto fra i più ricchi, come ha fatto nel basket Michael Jordan. Ma il testimone è già passato, insieme a un contratto Armani da 9 milioni di euro, al portoghese Cristiano Ronaldo, 25 anni, vero emergente insieme a Messi e, forse, con potenziale pubblicitario anche maggiore dell’argentino. Tanto Leo è piccolo, bruttarello ed orsacchiotto, quanto Cristiano è alto, bello e sciupafemmine. L’importante è scegliersi un ruolo, come in campo, e mantenerlo. I pubblicitari funzionano per schemi, non diversamente dagli allenatori.
Wayne Rooney, ad esempio, è cresciuto nella squadra sfigata di Liverpool, gli azzurri dell’Everton (motto: once blue, always blue). Ha il fisico del toro inglese e il Dna irlandese stampato in faccia e nel cognome. Poco dopo essere passato al Manchester United, la squadra più odiata d’Inghilterra, nel 2008 Rooney ha venduto le immagini in esclusiva del suo matrimonio con Coleen McLoughlin nell’abbazia rivierasca di Cervara per 2,5 milioni di euro. Salvo scoprire che la chiesa era sconsacrata. Poco male. Le foto sono finite su tutti i rotocalchi del Commonwealth, venduti a milioni di copie dall’India all’Australia.
In modo uguale e contrario, i codici non scritti della pubblicità hanno messo in castigo John Terry per essersi esibito fuori dalle mura coniugali e per di più con la fidanzata di un compagno di squadra. lo schema Tiger Woods. Terry ci ha rimesso la fascia da capitano dell’Inghilterra e i contratti di sponsorship. Per pagarsi gli avvocati gli restano 8,5 milioni di ingaggio.
Nella top ten del Mondiale ci sono anche i grandi rivali del calcio africano, l’ivoriano Didier Drogba e il camerunense Samuel Eto’o, che è anche l’unico dei primi dieci a giocare nel campionato italiano contro cinque tesserati dalla Liga spagnola e quattro dalla Premiership inglese. Fra i due, Drogba è di sicuro il più mediatizzato con oltre 5 milioni all’anno di contratti pubblicitari fra i quali Ferrero, la società di telecomunicazione Orange, i videogiochi della Konami. Eto’o ha incassi da sponsorizzazioni per soli 1,5 milioni di euro ma Massimo Moratti gli ha firmato un superingaggio. Soldi ben spesi per un anno di successi nerazzurri.
Gli italiani campioni del mondo in carica sono messi piuttosto male. L’unico dei primi 15 ad essere convocato in Sudafrica è Gianluigi Buffon, che è anche l’unico portiere nella classifica dei calciatori più ricchi. Molti lo danno in partenza dalla Juventus di Andrea Agnelli verso il City di Carlitos Tévez e degli sceicchi. Il suo salario ne trarrebbe senz’altro beneficio. La presenza pubblicitaria di Buffon non ha mai troppo bucato lo schermo. Tutto l’opposto di Francesco Totti, che ai Mondiali non andrà ma che si è costruito una carriera brillantissima negli spot ai quali deve oltre la metà dei suoi 10 milioni di guadagno annuale. Solo il contratto con Partypoker.it è stimato in 2,5 milioni di euro. Scherno, sputi e pedate agli avversari non hanno intaccato il fascino commerciale del Pupone. Segno che il ritorno c’è, da parte di Totti e da parte degli altri calciatori.
In fin dei conti, i gentlemen in braghe corte muovono l’economia per decine di miliardi di euro su scala globale e sono lavoratori specializzati di alta qualità. vero, c’è chi pensa che guadagnino troppo. Chi lo pensa, mediti sull’americano H. Lawrence Culp junior. l’amministratore delegato delle industrie meccaniche Danaher, Washington Dc. Due mesi fa ha vinto la classifica della rivista "Forbes" sui manager meglio retribuiti con 141 milioni di dollari intascati nel 2009. Per carità, sarà pure uno che li merita. Ma, francamente, chi andrebbe fino in Sudafrica per vedere Larry Culp junior?