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 2010  maggio 01 Sabato calendario

IL PRIMO ALBUM DI FIGURINE L’HANNO FATTO I MILLE

Alessandro Pavia nel 1860 ebbe la grande idea di fare un album delle figurine con tutti i partecipanti all’impresa dei Mille, ma si spinse troppo avanti per i suoi tempi. Valente fotografo pensò, all’indomani dell’Unità d’Italia, che un tal evento meritasse di essere ricordato attraverso un album di figurine che permettesse di raccogliere le immagini di tutti i valorosi eroi. Una raccolta d’immaginette degli epici garibaldini che chiunque avrebbe potuto acquistare in piccoli pacchetti con uscita quindicinale. Pavia per completare tutte e mille le foto girò per l’Italia ben cinque anni. Cercava i reduci dell’impresa e faceva loro la foto, per quelli morti o introvabili in certi casi rimediava riproducendo le foto che gli venivano date dalle famiglie, per chi era impossibile avere tracce lasciò speranzoso un numero di pagine in bianco.
Era una grande visione quella della storia raccontabile attraverso un monumento costruito su immagini, ancor più lo era nella sua visione del documento storico a dispense, quindi alla portata di tutte le tasche. La sua storia raccontata per immagini fotografiche era, tra l’altro, un’idea di divulgazione assolutamente rivoluzionaria in un’epoca ancora così lontana dalla moderna civiltà dell’immagine.
Oltre naturalmente all’amor patrio, la molla che spingeva Pavia nella sua epica impresa era pure quella del business… Lui pensava che il suo album sarebbe stato acquistato come minimo da ogni comune d’Italia, facendosi due conti in tasca pensava che la sua fatica sarebbe stata ben ricompensata. La sua analisi di marketing non faceva una piega, tanto che in una sua lettera scriveva soddisfatto: «Alcuni Municipi e Bibliotecari… hanno commissionato l’intiera raccolta, e il sottoscritto confida che quelli che ancora non lo fecero seguiranno il nobile esempio, come pure nutre fiducia che ai superstiti dei Mille, riuscirà oltremodo grato di possedere i ritratti dei loro compagni d’arme». Fece male i suoi conti, ai Comuni italiani di quell’album interessò pochissimo. Lui immaginava di poterne vendere almeno a cento biblioteche d’Italia, supponendo come possibile che l’operazione potesse essere finanziata dai reduci dell’impresa, che avrebbero per questo versato un franco al mese a testa.
Pavia fece male i conti, forse aveva semplicemente anticipato troppo i tempi, ma potrebbe anche aver valutato con eccessivo ottimismo il desiderio dei suoi contemporanei di entrare in possesso di un album di figurine patriottiche.
Il prezzo era, in effetti, forse un po’ alto, 460 lire al tempo erano una cifra veramente astronomica. Il contenitore però era stato realizzato come fosse una teca destinata a conservare imperitura la memoria degli eroi. La copertina era in bronzo con rifiniture personalizzabili a richiesta dell’acquirente. In ogni pagina erano ordinati dodici ritratti in formato carte da visite con in basso il nome e cognome dell’effigiato. In appendice era stato stampato un indice di tutti i 1092 partecipanti con il Comune di provenienza. Pavia ancora una volta pensava di poter giocare sul senso di campanilismo dell’Italia appena riunificata, ma purtroppo si era ancora una volta illuso.
Tentò disperato l’ultima carta del testimonial di lusso. Il generale Garibaldi in persona scrisse da Caprera ai suoi «amici d’Italia» per una sorta di colletta: «Io la raccomando a tutti i miei concittadini - acciò contribuiscano ad una sottoscrizione di 20 centesimi per compensare le spese e le fatiche dell’egregio patriota». Non servì a nulla, Pavia morì in totale miseria in un ospizio per poveri di Milano.