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 2010  maggio 01 Sabato calendario

L’EX RIVOLUZIONARIO CHE FULMINO’ SILVIO

Adesso uno potrebbe mettersi lì e fare il solito lavoro: tirare fuori due episodi o tre e raccontare la storiella del berlusconiano innamorato, fedele e gonfio di gratitudine. Non mancherebbe il materiale. Lo ha messo a disposizione Claudio Scajola stesso per esempio in un’intervista con Claudio Sabelli Fioretti. L’episodio è questo. Siamo nel 2000. C’è una cena ad Arcore, e Berlusconi se ne viene fuori con quel suo cavallo di battaglia che a sinistra non hanno mai lavorato e per la verità non hanno nemmeno mai studiato, e si contano sulle dita quelli laureati. Scajola era lì che mangiava e se ne stette zitto, a capo chino - «mi morsi la lingua». Mica era un ragazzo: aveva cinquantadue anni. Ai tempi si era iscritto a giurisprudenza ma aveva mollato a tre esami dal traguardo. Decise di rimettersi sotto e zitto zitto si fece dottore.
Questa sarebbe la parabola perfetta del buon forzitaliano. La fiaba dell’impareggiabile berlusconiano. E Scajola è di quelli che non si vergognano ad andare oltre la normale fedeltà al leader, oltre la stima. Lui a Berlusconi vuole bene: «Berlusconi si fa amare». Per lui Berlusconi è «il sole al cui calore tutti si vogliono scaldare». Per lui come Berlusconi «ne nasce uno ogni secolo», e il Novecento fu generoso: «Come Berlusconi c’è soltanto John Fitzgerald Kennedy». Bene, tutta questa lunga premessa per dire che Scajola avrà anche le giuste opinioni, i gusti adeguati, la forza di volontà auspicabile, ma non è un berlusconiano classico. Anzi, lo stesso Berlusconi non si offenderà se verrà qui definito ”scajoliano”.
Qualche nota biografica per giustificare un così forte tratteggio. Scajola, ministro dello Sviluppo economico, già ministro dell’Interno e poi dell’Attuazione del programma, è nato a Imperia nel gennaio del 1948. Figlio di Ferdinando, fondatore della Democrazia cristiana di Imperia, Claudio viene battezzato fra le braccia di Maria Romana De Gasperi, figlia di Alcide, secondo Berlusconi il più grande statista italiano prima dell’avvento di Berlusconi medesimo. Claudio adora il padre ma sa affrancarsi dal suo carisma: a vent’anni partecipa ai moti studenteschi e ne ricava una sonora randellata sferratagli da uno sbirro fascista. Non gli paiono meno lievi le soperchierie d’assemblea, dove i leader comunisti sopprimono il dissenso. E’ lì che prova sulla sua pelle che in medio stat virtus e si fa democristiano. Va a lavorare all’Inadel (oggi Inpdap) e fa il consigliere comunale della Dc: il fuoco rivoluzionario ha già partorito il giovane paludato. Secondo l’autobiografia, il battesimo dell’amministratore è del 1975, Scajola ha 27 anni e presiede l’ospedale regionale di Costarainera «ove mette in luce le sue doti di concretezza e di efficienza organizzativa».
Le cose devono per forza stare così perché nel 1982, a soli 34 anni, Scajola è sindaco di Imperia, carica che già fu del padre e del fratello. Ma nell’83 deve mollare, ingiustamente arrestato per via d’uno scandalo del casinò di Sanremo; e queste sono cose che nei cuori di Arcore fanno breccia. Come si potrà immaginare, infatti, a fare la fortuna di Scajola non è tanto la Dc, quanto Forza Italia. Anzi, il mitico Polo della Libertà. Scajola, sopravvissuto alla Prima repubblica e già campione della Seconda, si organizza una lista civica e quasi ridiventa sindaco. Ora va in giro a dire di aver preso il 35 per cento, contro il 33 della sinistra e il 29 del Polo, ma non è vero. Non è grave: le biografie un po’ si aggiustano appunto berlusconianamente, a fin di bene. L’Ansa riporta che, con il suo 27 per cento, Scajola estromesse il candidato del Polo dal ballottaggio, ma al secondo turno fu battuto. Berlusconi volle tuttavia conoscere quel signore tanto vivace, e la ovvia scintilla scoccò.
Nel 1996 Scajola viene eletto deputato di Forza Italia, e lo stesso anno Berlusconi gli affida l’organizzazione del partito. Naturalmente li ha tutti addosso, Lucio Colletti, Saverio Vertone, persino Sandro Bondi: lo schifano apertamente. Ma è difficile negare che è Scajola a trasformare un manipolo di venditori di spot in una macchina politica e a creare i presupposti della vittoria del 2001. La gratitudine di Berlusconi è proporzionata al premio: Scajola diventa ministro dell’Interno e l’esordio è una strana forma di nemesi: stavolta è la sua polizia a randellare i ragazzi al G8 di Genova, ma nessuno gli fa carico neanche della morte di Carlo Giuliani. Dovrà comunque dimettersi, poco più avanti, per quel ”rompicoglioni” diretto a Marco Biagi, appena ucciso dalle Br e battezzato ”rompicoglioni” perché chiedeva insistentemente una scorta. Nell’occasione, poco berlusconiano, Scajola non smentì i retroscena. Lamentò che una frase, pronunciata in relax all’ammazzacaffè, era stata estrapolata e buttata lì. Fu però difficile reinserire il ”rompicoglioni” nel contesto per nobilitarlo, e Scajola lasciò il Viminale.
Da allora la sua fama di gaffeur sfida quella del capo. Un esempio soltanto: all’inaugurazione della centrale elettrica di Civitavecchia (2008) disse: «Dopo tanti sacrifici, anni di lavoro e qualche vita umana è stato possibile costruire questa modernissima centrale...». Più o meno quello che deve aver detto Tito al vernissage dell’amato Colosseo.