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 2010  maggio 01 Sabato calendario

WAL-MART, IL RISCHIO DELLA MEGA «CLASS ACTION»

In un anno di crisi, è quasi d’obbligo dedicare la festa del primo maggio a tutti i lavoratori in difficoltà. Fra questi moltissime sono donne. Oltre alla sfida di mantenere o trovare un’occupazione, queste donne devono quotidianamente affrontare una sfida in più degli uomini: la discriminazione. Retribuzioni più basse, meno opportunità di carriera, contratti più flessibili, persino il rischio di licenziamento in caso di maternità.
Il modo forse più efficace per parlare, oggi, di pari opportunità nel mondo del lavoro è quello di raccontare una storia. Una storia di discriminazione subita, di lotta per difendere i propri diritti. Ma anche la storia di un successo, di un caso giudiziario che promette di diventare un vero e proprio punto di svolta per l’emancipazione lavorativa femminile.
La vicenda ha luogo negli Stati Uniti e inizia alla fine degli anni Novanta. Betty Dukes è una afro-americana di 54 anni che fa la commessa in un supermercato Wal-Mart, in California. Nei sei anni precedenti ha lavorato sodo, ricevendo ottimi giudizi nelle valutazioni annuali dei suoi superiori. Si candida per seguire un corso di formazione che le permetterebbe un avanzamento di carriera: un contratto fisso con copertura sanitaria (merce piuttosto rara nella catena Wal-Mart), uno stipendio più alto, mansioni più gratificanti, con prospettive di diventare manager. Il percorso tipico del «sogno americano», accessibile a molti colleghi uomini di Betty, ma molto difficile per le donne: fra i dipendenti Wal-Mart pagati a cottimo, le donne sono il 65 per cento, mentre fra i manager sono solo il 33 per cento.
La candidatura viene bocciata, con motivazioni pretestuose. Betty non si arrende e fa causa al proprio datore di lavoro per discriminazione di genere. Decide di agire non solo per sé, ma per tutte le impiegate come lei: circa un milione emezzo di donne che ritengono di aver subito discriminazioni salariali o di altra natura dal colosso della distribuzione commerciale low cost. Come nella storia di Erin Brockovich, immortalata dal film con Julia Roberts, i legali di Betty Dukes vogliono dar vita a una causa collettiva, che costerebbe a Wal-Mart miliardi di dollari in risarcimenti e spese legali. Il procedimento giudiziario si trascina per anni ma lunedì scorso, il 26 aprile 2010, la corte federale di appello di San Francisco, pur con una maggioranza risicatissima, dà ragione a Betty. Wal-Mart farà probabilmente ricorso alla Corte suprema. Se la sentenza di San Francisco verrà confermata, si aprirà la più estesa ed importante class action della storia americana in tema di diritti civili.
La vicenda ha già avuto grande eco nei media americani e qualcuno parla di Betty Dukes come di una nuova Rosa Parks, la coraggiosa donna afro-americana che nel 1955 si rifiutò di cedere il suo posto sull’autobus a un passeggero bianco e costrinse la Corte suprema ad abolire la segregazione razziale negli stati del sud.
Indipendentemente dal suo esito finale, il caso Dukes ha già avuto effetti anti-discriminatori concreti per molte lavoratrici americane con contratti precari e mal-pagati nel settore dei servizi. Quando è credibile, il rischio di una condanna origina quasi automaticamente un cambiamento di mentalità e pratiche da parte delle imprese. La precoce introduzione (già negli anni Settanta) di norme contro la discriminazione e il graduale incremento di sentenze favorevoli alle donne hanno spinto gli Stati Uniti a rimuovere disincentivi e barriere all’occupazione femminile e a valorizzarne il potenziale anche in termini di carriere.
I supermercati del Vecchio Continente hanno comportamenti più corretti di quelli statunitensi. Ma in media le lavoratrici europee subiscono una maggiore discriminazione nel lavoro rispetto a quelle americane. Non è tanto una questione di leggi: grazie anche all’Unione europea, quelle adesso le abbiamo anche noi. E’ soprattutto una questione di sensibilità, di consapevolezza dei propri diritti e di mobilitazione. Nella sua lotta contro il golia Wal-Mart, Betty Dukes è stata affiancata e sostenuta da un gran numero di associazioni femminili, da attiviste sindacali, da donne elette nelle varie istituzioni: non ce l’avrebbe fatta senza di loro.
Sarebbe bello se in questo primo maggio rivolgessimo tutti un pensiero al lavoro femminile, alle ragioni che lo rendono un faticoso percorso a ostacoli. Le donne che ricoprono ruoli di responsabilità (nella politica e nell’economia) potrebbero però cogliere l’occasione per una riflessione in più: come accrescere l’efficacia della rappresentanza e dell’azione femminile a tutela della parità. Con mosse concrete in tutte le sedi rilevanti, in difesa di opportunità lavorative finalmente uguali per entrambi i generi.
Maurizio Ferrera