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 2010  maggio 01 Sabato calendario

«SBARCAMMO SOTTO IL FUOCO. L’UNICA VITTIMA? UN CANE»

Quelli che seguono sono alcuni passi del libro «I Mille», da poco ripubblicato da Stampa alternativa con le note di Luciano Bianciardi, nel quale Giuseppe Bandi ha
raccontato lo sbarco a Marsala. Da testimone oculare. Nella spedizione Bandi era infatti aiutante di campo di Garibaldi. ltrepassata Favignana, apparsa bella e ridente la spiaggia di Sicilia, e raggiunto il capo Provvidenza, il capitano Castiglia additò a Garibaldi il porto di Marsala, che biancheggiava da lungi. Ma un altro spettacolo apparve intanto al vigile sguardo del prode nizzardo. Due legni a vapore ed una grossa fregata a vela ci venivano incontro a golfo lanciato tentando tagliarci fuori dalla costa e pigliarci in mezzo. Ammutolimmo a tal vista ed un lugubre silenzio successe alle esclamazioni di gioia, suscitate dall’aspetto dell’isola vicina. Garibaldi guardò attentamente quei legni; quindi, volgendo l’occhio sul porto di Marsala depose il cannocchiale, esclamando con un allegro sorriso:
’ Oggi le fregate napoletane rimarranno con tanto di naso.
E vòlto poi al timoniere gridò in dialetto genovese: – Rossi, appoggiate a Marsala! Era un’ora prima di mezzogiorno. Si gareggiava adesso tra le nostre e le navi borboniche a chi prima toccherebbe il porto. Venti minuti più o meno decidevano della vittoria e dell’unità della patria. Invano, alcuni siciliani proposero al generale di virar di bordo e tentar lo sbarco colà o in altra parte, durante la notte. Egli li respinse con un no! così tondo, che non trovarono più il fiato per parlare (…)
Eravamo tutti sul ponte con le armi in pugno ed impazienti di sentir coi piedi la terra, quando il Castiglia accennò due navi da guerra ancorate presso Marsala. La più lontana fu senza difficoltà conosciuta alla struttura, siccome inglese; l’altra (ché nessuna delle due issavano bandiera) non riuscì poter chiarire a qual nazione appartenesse. Si sospettò e quasi s’ebbe certezza, potesse essere un legno da guerra borbonico, ancorato a guardia del porto.
Non si perdé d’animo Garibaldi, non ostante che i nostri legni non fossero tali da resistere alle cannonate; ma ordinato si recassero sovra coverta le scuri e i ramponi, si preparava all’arrembaggio, gridando con volto sereno:
’ Ebbene! invece di aver due vapori ne avrò tre! (…)
Le campane di Marsala suonavano il mezzogiorno quando giungemmo vicini ai due legni ancorati che, al nostro apparire, alzarono la bandiera inglese e ci tolsero una spina dal cuore. Non restava adesso che infilare nel porto e mettere a terra la gente prima che si avvicinassero gl’incrociatori nemici, uno dei quali ci seguiva a quattro miglia forse di distanza (…)
Il Piemonte entrò difilato nel porto, rimorchiando la paranzella; e riuscito ad imboccare il canale (unico sito navigabile di quel povero scalo) gittò felicemente l’àncora dirimpetto alla fabbrica di vini dell’Ingham e al consolato inglese, dove sventolava la temuta bandiera dei tre regni. In un batter d’occhio, Türr co’ suoi cinquanta uomini fu a terra, ed occupata la piccola torre del molo, corse alla porta della città, nel mentre che la più parte della gente, congregata per l’arrivo dei due vapori, se la dava a gambe per lo spavento.
Nel tempo istesso, approdavano i canotti e le lance con quanti uomini vi potettero capir dentro, e incontanente si pose mano alle barche dei pescatori e dei legni ancorati per accelerare lo sbarco. Non toccò ugual fortuna al Lombardo, che rimase arenato sulla bocca del porto, e in tal posizione che, per la lontananza, non era così agevole sbarcare con pari sollecitudine la sua gente. Di ciò accortosi Garibaldi si diè a gridare mandassero barche in tutta fretta al legno incagliato, tanto più che uno dei vapori della crociera appariva già quasi a tiro di cannone.
Entrando nel porto, la prima cosa che ci diè nell’occhio si fu uno scappavia che conduceva due ufficiali dei legni da guerra inglesi, e parea si divertissero alla pesca o a bordeggiare con quel bel venticello che spirava.
’ Ecco là, – esclama Garibaldi – ecco là gente che pagherebbero cento sterline per godersi due volte questa scena.
E costoro, infatti, ridevano sgangheratamente, giacché due legni con bandiera sarda e zeppi di uomini armati che si cacciavano in quel porto a tutta furia, non lasciavano, per certo, dubbio alcuno su quanto fosse per accadere. La presenza delle navi inglesi dinanzi a Marsala è stata oggetto di varie interpretazioni. Alcuni sostengono essersi trovate lì non sine qua re, e per un accordo segreto tra Cavour e l’ammiraglio Fanshawe. Altri giurano invece che vi furono per motivi affatto diversi e senza veruna valuta intesa. L’opinione più da seguirsi si è questa: che i due legni inglesi ancorassero presso Marsala per proteggere gl’interessi dei loro connazionali, vessati più volte dalle angherie poliziesche, specialmente nell’ultimo disarmo, eseguito con tanto rigore e senza rispetto per chicchessia. C’è in Marsala una vera e propria colonia inglese, essendosi gl’inglesi (per quella benedetta voglia di non voler far niente, tanto rimproverata a tutti noi) lasciato scappar di mano anche il commercio dei loro vini, che sono i meglio riputati di tutta Italia. Ora è ben ragionevole che quella potenza, e inimicissima ai Borboni, non lasciasse indifeso un dei migliori emporî del suo commercio e sì gran numero dei suoi cittadini, in un momento in cui il governo della sciabola malmenava a chius’occhi l’isola intiera (...)
Appena il generale pose piede a terra, Giorgio Manin spiegò la bandiera. Un lungo grido di gioia accolse l’audace e fortunato condottiero, il quale, come ci ebbe confortati a procedere ordinati e con passo tranquillo, avvertendo che gl’inglesi ci guardavano, si avviò lentamente sul molo, appoggiando sulla spalla destra la sciabola, impugnata dalla parte della punta, e colla cintola penzoloni. Intanto, un altro legno borbonico a vapore era giunto a mezzo tiro dal molo; un altro s’avvicinava a tutta corsa, rimorchiando la grossa e panciuta Partenope. Avevamo fissi gli occhi su que’ visitatori pericolosi, e non sapevamo che cosa pensare del loro inesplicabile silenzio, quando, a un tratto, dalla prua del più vicino sfolgorò un lampo, e bum! una gran botta, e una granata passò ronzando sulla testa del generale, e cadde, lontano pochi passi. Un gran: "Viva l’Italia!" rispose da cento e cento bocche a quel primo segno di battaglia; e un volontario, fattosi sulla granata, la prese in mano e la recò al generale dicendo:
’ Ho l’onore di presentarle il primo fuoco.
Tosto a quel primo colpo ne seguì un secondo, e poi un terzo; e non andò molto che i colpi divennero innumerevoli, aggiungendovisi quelli della Partenope che lanciò intiere bordate. Come Dio volle, tutti que’ tiri caddero a vuoto, sia perché le granate, vecchie e guaste, raramente scoppiavano, sia perché difficile era l’assestarli da’ legni ondeggianti, su quella spiaggia, bassa e quasi a livello dell’acqua.
Procedevamo a quattro a quattro e cantando, quand’ecco una bòtta di mitraglia flagellar le onde, a cinquanta braccia forse dal generale. Questi veduto il pericolo gridò: – Sparpagliatevi tutti! Ubbidimmo. Giunti che fummo su d’una vasta spianata (che è opera delle arene che affluiscono in quel porto) la tempesta delle palle divenne così fitta, che il generale ordinò più volte: – Ventre a terra! Grosse bombe frullavano per l’aria e rimbalzavano per terra, scoppiando poi con indicibile frastuono. Una di queste bombe cadde presso a noi, in una gran pozzanghera, e quivi si spense irrorandoci di spruzzi. Un’altra scoppiò non lungi dalla porta, e uccise un cane, vittima unica e innocentissima di quel giorno memorabile (…)