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 2010  aprile 22 Giovedì calendario

IL PRIMO MESTIERE DELLA FIAT - NEL

vasto e ambizioso piano Fiat presentato dall’ad Sergio Marchionne occorre distinguere tre livelli. Il primo è quello delle operazioni che sicuramente si compiranno poiché dipendono dallo stesso ad e dalla proprietà, che pare pienamente condividere le sue scelte. L’operazione di maggior rilievo riguarda lo scorporo dal gruppo Fiat della produzione di autocarri (Iveco), di trattori e macchine per il movimento terra (Cnh), di motori e cambi (Powertrain). Tempo un anno o due, Fiat produrrà esclusivamente auto. Un’operazione del genere viene chiamata concentrazione sul "core business", ossia sulle attività in cui un’impresa riesce meglio. Negli anni 2000 un buon numero di gruppi industriali europei ed americani hanno già imboccato questa strada, abbandonando quella dell’espansione nei settori più diversi, anche non industriali, che li aveva attratti in precedenza, e su di essa hanno conseguito apprezzabili successi. Che anche Fiat abbia deciso di dedicarsi al suo mestiere primario di costruttore d’auto - un mestiere da giganti, diceva Gianni Agnelli - è senz’altro un evento positivo.

Altrettanto sicuri appaiono gli investimenti negli stabilimenti italiani che Fiat intende effettuare per farne salire sia la produzione che la produttività. vero che, avendo alzato di molto i livelli di produzione che punta a raggiungere - Marchionne parlava a fine 2009 di un milione di vetture l’anno entro il 2014, diventati 1,4 milioni nel piano presentato ieri - gli 8 miliardi di euro da lui indicati all’epoca sono diventati 26. un bel salto.

Tuttavia guardando al consolidamento internazionale del gruppo e al suo rinnovato prestigio, è pressoché certo che se ci vorranno altri svariati miliardi il gruppo li troverà.

Un secondo livello del piano Fiat riguarda gli obbiettivi di produzione e di vendita, che sono esposti in modo preciso e dettagliato, ma la cui realizzazione dipende da fattori esterni su cui Fiat non può avere lo stesso controllo che ha sulle azioni proprie. Il piano prevede, tra l’altro, di esportare il 65 per cento delle vetture prodotte al 2015 in Italia, il che significa più di 900.000. A fattori costanti la previsione sembra affatto realistica. Ma sulla costanza dei fattori non si può sperare più di tanto. Il petrolio sta di nuovo viaggiando verso gli 80 dollari al barile e oltre. Per l’industria cinese dell’auto si prevede ormai che verso il 2012 si imbatterà in un eccesso di capacità produttiva. Brasile e Argentina stanno diventando grandi mercati, ma la domanda di auto Fiat parrebbe dover essere soddisfatta dagli stabilimenti Fiat dei due paesi. E gli Stati Uniti produrranno già negli stabilimenti di casa - così prevede il piano - 240.000 auto Fiat. lecito quindi qualche dubbio, vista anche la presenza della Chrysler, che essi possano assorbire una quota consistente della produzione italiana.

C’è poi il terzo livello del piano Fiat, quello degli interrogativi i quali - almeno nella versione disponibile al pubblico - per ora non sembrano trovare una risposta definita. L’interrogativo principale concerne il numero di lavoratori che dal 2015 in avanti saranno effettivamente occupati in Italia nella produzione di auto Fiat. Non si tratta solo degli addetti che saranno presenti nei quattro stabilimenti del gruppo. Si sa che tra i due terzi ed i quattro quinti dei componenti di un’auto, Fiat o non Fiat, vengono fabbricati da officine esterne, poste anche a grande distanza dal luogo in cui si svolge il montaggio finale, e spesso all’estero. Dove saranno fabbricati i componenti che alla fine dovrebbero diventare 1,4 milioni di vetture che usciranno da Mirafiori e da Melfi, da Cassino e da Pomigliano? La differenza tra una componentistica fabbricata prevalentemente in Italia, e una fabbricata in prevalenza all’estero, comporta che nel 2015 vi saranno in Italia alcune decine di migliaia di lavoratori in più, oppure in meno, occupati nella produzione allargata di auto Fiat. Una risposta su questo punto Fiat la potrebbe certamente dare, visto che non si può immaginare che essa progetti di costruire quasi un milione e mezzo di auto in Italia senza avere già ben chiaro da quale regione, o quale paese, proverranno motori e pianali, sospensioni e cambi, carrozzerie ed elettronica.

Ci si aspetterebbe allo stesso tempo anche maggior chiarezza sul totale dei dipendenti Fiat che rimarranno negli stabilimenti super-automatizzati del 2015, e delle condizioni in cui dovranno lavorare. noto da varie ricerche che l’industria automobilistica europea richiede mansioni che nonostante l’automazione sono particolarmente faticose ed usuranti. Se la maggior flessibilità richiesta da Marchionne dovesse configurarsi come una miscela di turni notturni e festivi generalizzati, mansioni brevi e ripetitive controllate dal computer, orari di continuo variabili da un mese all’altro, i dipendenti Fiat di allora non avrebbero granché da rallegrarsi dei nuovi ed esaltanti traguardi di produzione. Il piano Fiat è sicuramente uno dei migliori piani industriali che siano stati presentati da anni in Italia. Tutte le parti interessate debbono guardare ad esso con favore. Ma dovrebbero anche avere la possibilità di guardare un po’ più a fondo nelle sue pieghe.