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 2010  aprile 22 Giovedì calendario

A ROSARNO TORNANO GLI AFRICANI. E CONTINUANO A FARE GLI SCHIAVI

 tornato tutto com’era, a Rosarno. Come prima della rivolta di gennaio, gli africani vivono nei casolari abbandonati, senz’acqua, né luce. Se possibile, in condizioni più disumane di prima. Devono nascondersi e disperdersi per le campagne, altrimenti polizia e carabinieri li costringono a sloggiare. Alle porte del paese, la vecchia fabbrica della Rognetta, dove si erano accampati e dove almeno c’erano acqua corrente e bagni chimici, è stata demolita. L’ex Opera Sila, 700 posti in un impianto abbandonato per la raffinazione dell’olio, è frequentemente perlustrata dalle forze dell’ordine per impedire i rientri, così come le casupole nei dintorni. E allora gli africani hanno ripiegato per ricoveri di fortuna in luoghi più impervi, laddove i controlli non arrivano, ma stentano a raggiungerli anche i pochi aiuti delle associazioni di volontariato e della gente di buon cuore. E ogni giorno, per andare in centro a cercare lavoro, i ragazzi di colore devono macinare chilometri e chilometri, perlopiù a piedi. Certo, adesso sono rimasti davvero in pochi. «Fino ad un mese erano circa 400 - spiega Giuseppe Pugliese dell’Osservatorio Migranti di Rosarno - adesso saranno la metà. Anche la stagione delle arance è finita e, come ogni anno in questo periodo, gli africani sono già in Puglia e Campania dove comincerà la raccolta dei pomodori».

Cosa resta della rivolta? Per Giuseppe Pugliese, solo amarezza. «Sono stati scritti fiumi d’inchiostro, abbiamo ascoltato le analisi e i commenti più disparati, ma qui non è cambiato niente - sostiene il responsabile dell’Osservatorio Migranti - Aldilà dell’indignazione e delle promesse, le condizioni di vita di questi ragazzi non hanno subito alcun miglioramento. Chi di loro ha potuto, una volta rientrato dopo gli sgomberi, ha affittato una piccola casa in paese, gli altri sono tornati a vivere tra i cumuli di spazzatura. Continuano ad elemosinare un lavoro nei campi: ora che la stagione degli agrumi si è conclusa, zappano, seminano, ripuliscono dalle erbacce».

A Rosarno, però, le rivolte dei neri - quella di gennaio e l’altra del dicembre 2008, scatenate entrambe dalle pistolettate esplose contro alcuni di loro - qualche beneficio l’hanno portato. Al Comune, ancora commissariato per le infiltrazioni mafiose, stanno arrivando i milioni di euro dei fondi europei. «Ora è partito il business dell’accoglienza - afferma Pugliese - Gli stagionali sono stati mandati via, ma si aspetta il milione e 900 mila euro del Pon Sicurezza per costruire un centro di aggregazione e di accoglienza per immigrati regolari sui terreni confiscati al clan Bellocco, in contrada Carmine». Un altro centro per stranieri e un’area attrezzata per il mercato sono previsti alla Rognetta, l’ex stabilimento per la trasformazione del succo d’arancia demolito subito dopo gli scontri.

E con 200 mila euro, stanziati dal ministro Maroni per l’emergenza dello scorso anno, sono stati acquistati sette containers con servizi igienici e docce che dovevano essere sistemati nei siti popolati dagli africani e ora resteranno al Comune. Insomma, gli aiuti agli stranieri si sono fermati alle intenzioni e loro si sono arrangiati come hanno potuto, con il solo aiuto dei volontari, come Norina Ventre. Gli Africani la chiamano ”Mamma Africa” quest’ex insegnante ottantenne che non si risparmia per accudirli: cucina pentoloni di pasta, carne e legumi, distribuisce buste piene di viveri e vestiti, li cura e li ascolta. Dopo la rivolta, qualcuno le distrusse la mensa che aveva allestito in una piccola abitazione nel suo agrumeto, ma lei, caparbia, dopo qualche settimana ha ricostruito tavoli e sedie ed ha riaperto il suo ”ristorante” sotto gli aranci. Una volta, la domenica in fila si contavano anche 200 africani, ore sono poche decine, al massimo 60 persone. Norina non li abbandona, anche se la fatica comincia a farsi sentire, ma continua pure a difendere i rosarnesi che sono stati tacciati di razzismo. «A gennaio i ragazzi hanno esagerato - dice - è normale che la gente sia insorta, ma nessuno dei rosarnesi per bene ha mai sparato o picchiato uno di loro».

A guardarlo ora, Rosarno, non sembra affatto il paese degli scontri e della caccia al nero. Un giovanissimo africano attraversa la strada in bicicletta, un altro cammina tranquillo con in mano una busta colma dei prodotti del vicino discount. Per la gente di qui, abituata a conviverci da ormai vent’anni, è come se anche loro facessero parte del paesaggio.