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 2010  aprile 22 Giovedì calendario

FINANZA FOLLE, CONTO DA 1.100 MILIARDI

Le pazzie della finanza sono costate almeno 1100 miliardi di dollari. Questa è la somma, conteggiata dal Fondo monetario internazionale, delle spese accollate ai contribuenti di tutto il mondo (il contributo dell’Italia, per fortuna, è minimo). Nello stesso rapporto, che sarà discusso dai ministri economici del G-20 venerdì a Washington, il Fmi dettaglia la sua proposta su come tassare le banche - in due forme diverse - per recuperare almeno parte di queste spese.
In parallelo, il Fmi ha reso ufficiali ieri le sue nuove previsioni sull’economia mondiale, già note da indiscrezioni. Nei paesi ricchi si conferma una crescita debole condizionata dell’urgenza di rimettere in sesto i bilanci pubblici. Nei paesi emergenti una crescita vigorosa dovrà essere tenuta d’occhio per evitare che generi inflazione. E’ insomma una ripresa «asimmetrica»; le monete dei paesi emergenti, yuan cinese soprattutto, dovranno rivalutarsi quanto prima nei confronti del dollaro e dell’euro.
Ad appesantire i bilanci degli Stati sono stati sia i sostegni alle banche sia i provvedimenti anticrisi. Il computo del Fmi è che le spese davvero sostenute, o come iniezioni di capitale nelle banche o come acquisti di titoli e prestiti diretti, ammontano a 1.143 miliardi di dollari tra paesi ricchi e paesi emergenti; 2,2% del prodotto lordo nell’insieme del G-20. Sotto le due voci erano stati stanziati duemila miliardi di dollari, non usati per intero. Con i primi recuperi, il costo netto scende a 862 miliardi.
Si aggiungono 3.530 miliardi di dollari in garanzie, 2.400 in interventi delle banche centrali, 1.610 di altri finanziamenti governativi; in tutto altri 7.500 miliardi di cui l’esborso netto, una frazione, è difficile da stabilire. Sia per diminuire il costo di eventuali futuri salvataggi, sia per recuperare una parte delle spese, il Fmi su mandato del G-20 propone due tipi di tassa: un «contributo alla stabilità finanziaria» che avrebbe come base imponibile il passivo delle banche, esclusi i depositi da clientela e il capitale proprio; e una «tassa sulle attività finanziarie» (già anticipata da La Stampa) sulla somma dei profitti e delle remunerazioni.
Se applicata da tutti, secondo il Wall Street Journal queste tasse potrebbero rendere fino a 2000 miliardi di dollari in diversi anni. Al G-20 l’argomento sarà discusso; alcuni paesi, come il Canada (dove le banche non hanno avuto bisogno di soccorsi) e forse il Giappone non sono favorevoli a tassare. Mario Draghi, come presidente del Financial Stability Board, insiste che la prima garanzia contro nuove crisi saranno le nuove regole (contrastate dai banchieri) sui requisiti di capitale e sulla limitazione del rischio, indicate come «Basilea 3». Al G-20 si esamineranno pure le previsioni. Ieri Olivier Blanchard, capo economista del Fondo, ha insistito sulla parallela urgenza di ridurre i deficit pubblici nei paesi ricchi (ad esempio ritardando l’età della pensione) e di espandere i consumi interni nei paesi emergenti. Il cambio tra dollaro ed euro sta bene così com’è.
Dell’Italia il Fmi dice che può essere collocata a metà strada fra i paesi a rischio (Grecia, Portogallo, Irlanda) e i paesi solidi come la Germania. Nell’analisi del World Economic Outlook, il nostro paese ha un minor incremento della disoccupazione rispetto alla media europea ma rischia di conservarlo più a lungo; come crescita resteremo nella parte bassa della classifica (+0,8% quest’anno, +1,2% nel 2011) anche rispetto ai risultati poco esaltanti dell’intera area euro (+1% nel 2010, +1,5% nel 2011).