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 2010  aprile 22 Giovedì calendario

CALCOLI SBAGLIATI NEI PC. ECCO LE RAGIONI DEL CAOS (2

articoli + schede) -
E’ stata una Torre di Babele, costruita oltretutto con strumenti che nessuno aveva mai verificato sino in fondo. «Quando giovedì s’è trattato di affrontare la minaccia della nube islandese le autorità nazionali europee hanno dato interpretazioni diverse a segnali diversi, per poi arrivare a risposte diverse», sintetizza la portavoce del commissario Ue ai Trasporti Siim Kallas. La colpa è del coordinamento continentale che esiste solo sulla carta, del cielo europeo suddiviso in tante parti quanti gli Stati in cui si specchia, e del numero equivalente di sceriffi dell’aria, ventisette. Non hanno saputo essere una squadra e non avevano le giuste informazioni. «Se ci fosse stato il controllore centralizzato a cui lavoriamo da anni - giurano a Bruxelles - il problema si sarebbe risolto nel giro di poche ore». Le compagnie aeree sono furibonde e con loro i tour operator; sostengono che tutto si poteva fare meglio e più in fretta. «Abbiamo fatto dei voli di prova - ha attaccato il portavoce della Lufthansa, Klaus Walther -. Siamo andati a 24 mila piedi e poi più in basso, a 8 mila. Non abbiamo trovato neanche un graffio sulle carlinghe e nemmeno nei motori». I piloti sono più cauti, ma cambia poco. L’Associazione internazionale del trasporto aereo stima che la crisi le sia costata 1,26 miliardi di euro in sei giorni. Il presidente Giovanni Bisignani, che oggi sarà in visita alla Commissione Ue, ha parlato di «act of god», causa di forza maggiore, per cui la categoria non intende rimborsare hotel, pasti e telefonate a chi è rimasto bloccato a terra. A Bruxelles non sono convinti. E i consumatori sono pronti a fare la guerra.
MARCO ZATTERIN

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1) Hanno ragione le compagnie aeree, era teoricamente possibile fare di più e meglio. In pratica, però, hanno torto, visto che ognuno ha fatto ciò che le regole consentivano. La decisione di chiudere o meno lo spazio aereo è responsabilità puramente nazionale. Gli orientamenti vengono definiti dalle singole autorità (per esempio l’Enac in Italia) e attuati da Eurocontrol, agenzia bruxellese indipendente, che ha il compito di raccogliere le informazioni dagli stati, coordinarle e tracciare i piani di volo sui percorsi disponibili. La nuvola nera proveniente dall’Islanda ha fatto tiltare il sistema. I comportamenti sono stati disomogenei, scomposti e lenti. «Un patchwork di strategie che ha peggiorato uno scenario già negativo», spiegano alla Commissione Ue. Solo lunedì i governi nazionali si son resi conto che bisognava cambiare. stato allora che i ministri dell’Industria dell’Unione Europea hanno riscritto le regole, diviso lo spazio aereo continentale in tre zone, in base al pericolo, e riaperto i cieli ovunque era possibile, in base a parametri molto più pragmatici.

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2) La responsabilità globale di accertare le conseguenze di un’eruzione è affidata a nove Vaac, i centri per la consulenza sulle ceneri vulcaniche. L’Islanda ricade sotto quello di Londra che, come da regolamento, da giovedì ha cominciato elaborare una fotografia della situazione sulla base del modello matematico di dispersione «Name», sviluppato dopo l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl, con la conseguente nube radioattiva che terrorizzò l’Europa per settimane nel 1986. «Name» è un software che unisce fattori come l’intensità dei fumi, le osservazioni satellitari, il meteo. Poi disegna una mappa. La quale, però, non è pienamente attendibile per due motivi: esistono ceneri trasparenti non visibili dallo spazio, dunque la misura e lo spessore sono dubbi; non si sa a che punto esse diventano pericolose per i motori. Tutto è nelle mani di un computer. «Decisioni non verificate empiricamente», ha protestato la Lufthansa. I cui voli di prova, dicono a Francoforte, non hanno riscontrato anomalie. Come non hanno riscontrato anomalie i voli cargo effettuati dalla compagnia olandese Klm nei giorni di massimo allarme.

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3) Nel fine settimana i governi hanno capito che bisognava cambiare strategia. Ha fatto gioco la combinazione fra le pesantissime pressioni delle compagnie aeree (con le voci che si rincorrevano di rischi di fallimenti imminenti), l’esigenza di rimettere in moto il sistema dei trasporti per riportare decine di migliaia di persone a destinazione, e la consapevolezza di aver creato un caos per giusta precauzione, piuttosto che sulla base di dati scientifici attendibili. Lunedì i ministri dell’Industria hanno stabilito le tre zone per decreto, senza che la mappa del Vaac di Londra fosse cambiata. Se domenica non si volava e martedì sì, vuol dire che in una delle due occasioni non si era fatta la scelta giusta. «La sicurezza è prima di tutto - ha assicurato il commissario europeo ai Trasporti, il finlandese Siim Kallas -, ma non potevamo restare fermi ad aspettare che la nuvola si spostasse». I voli test e il «mea culpa» di tecnici e scienziati hanno convinto ad accendere il semaforo verde per una parte dei 28 mila voli decolli quotidiani continentali. Ieri ne sono stati effettuati circa 22 mila, oltre l’ottanta per cento, oggi si dovrebbe tornare alla quasi normalità.

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4) La parola d’ordine è «più coordinamento e criteri scientifici certi», con l’aggiunta di un «in fretta», nel caso avesse ragione il presidente islandese che prevede una seconda e più drammatica eruzione vulcanica. Per questo si terrà presto una riunione dei ministri dell’Industria dell’Unione europea. Il primo scopo è accelerare il pacchetto di norme comunitarie detto «Cielo unico», che dovrà entrare in vigore col 2012 e portare gestione unica e integrata dello spazio aereo europeo: un pacchetto che aveva come scopi soprattutto la liberalizzazione e una maggiore integrazione del mercato unico, ma che ora viene visto come indispensabile anche dal punto di visto della regolazione. «Un’altra lezione da trarre è sulla soglia di pericolosità delle ceneri vulcaniche», spiega la Commissione. Serve un’analisi che permetta di stabilire quando è il momento, e dove, per proclamare le emergenze e chiudere i cieli, e quale sia la concentrazione di polveri potenzialmente micidiale. L’obiettivo è chiaro. Vanno costruiti gli strumenti per definire un tipo di nuvola che, a seconda dei punti di vista, è piccola o grande, esiste o non esiste.

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LA SITUAZIONE IN ITALIA -
Con il lento dissolversi della nube di cenere anche gli aeroporti italiani sono tornati ieri alla quasi normalità. Fiumicino è tornato alla piena operatività poco dopo le 9. «La nebbia ha rallentato le operazione in prima mattinata - ha spiegato il Direttore Enac dell’aeroporto di Fiumicino, Vitaliano Turrà - e ha provocato alcuni ritardi negli arrivi». Turrà ha aggiunto che «a Fiumicino si sta andando verso la normalità. Notizie positive arrivano anche dalla Germania, da dove sono arrivati al Leonardo da Vinci i primi due voli, e dall’Inghilterra. La British Airways, che in un primo momento aveva cancellato i primi voli del mattino, li ha rimessi rapidamente in linea. Situazione non molto diversa nel Nord dell’Italia: anche all’aeroporto di Milano Malpensa pochi collegamenti cancellati, tutti per il Nord Europa. Ieri mattina restavano piccole code alle biglietterie delle compagnie aeree,con passeggeri intenti a cambiare le prenotazioni saltate negli scorsi giorni o ad acquistare nuovi viaggi. Sono tornati invece in pulmino da Francoforte i tre operatori di Emergency liberati domenica scorsa a Kabul. Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani sarebbero dovuti arrivare ieri mattina a Linate da Francoforte, insieme all’ambasciatore Attilio Iannucci, ma il loro volo è stato cancellato.

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E LA BRITISH SFIDO’ I GENDARMI DELL’ARIA: "I NOSTRI JET VOLANO" -
Alle 11, quando nei cieli di Heathrow compaiono le scie spumose dei primi decolli, la diciassettenne Sirada Pungthong abbraccia mamma Namkeng: «Si torna a casa». Dovevano ripartire per Bangkok venerdì scorso, ma le ceneri del vulcano Eyjafjallajokull hanno prolungato le due settimane di vacanza e il conto dell’albergo di Camden Town. Intorno a loro, all’esterno del Terminal 3, centinaia di persone si mettono rassegnatamente in fila per il check-in che potrebbe durare ore. L’analista finanziaria Sarah Leggat ha perso sei preziosi giorni di ferie e dovrà farsi bastare i rimanenti sette per visitare le Filippine. Eppure, giura, preferisce così: «Se volare era pericoloso, molto meglio essere rimasti a terra». Due cinquantenni sedute su trolley grandi come bauli annuiscono. A nessuno importa che le compagnie aeree denuncino la cautela esagerata delle autorità aeroportuali: «La gente ha a cuore la sicurezza, loro pensano ai soldi che hanno bruciato».
Nessun segno di danni
A cieli aperti si contano i danni. La settimana di passione dell’aeronautica britannica è costata all’economia 1,6 miliardi di sterline, 120 milioni soltanto alla British Airways. Un buco che non basteranno mesi a risanare. Per questo da giorni la compagnia di bandiera premeva, più o meno alla luce del sole, per la rimozione del divieto di volo. Finché, in extremis, ha deciso di violarlo e mettere la Civil Aviation Autorithy (Caa) di fronte al fatto compiuto. Martedì 26 jet BA carichi di passeggeri sono partiti simultaneamente da Pechino, dai Caraibi, dal Messico, alla volta di Londra sperando di costringere Heathrow o Gatwick a concedere l’atterraggio. Dopo averne dirottato uno proveniente dal Bahrein su Bruxelles e un altro su Newcastle, le torri controllo del principale aeroporto londinese hanno ceduto al braccio di ferro e alle 22 (le 23 italiane) alcune centinaia di reduci dal soggiorno forzato a Vancouver sono rientrati, pionieri, in patria.
«Allarme eccessivo»
Tutti attendono ora di capire la tenuta dei motori BA. Perché se, come sostengono i tecnici, si sono davvero districati senza problemi nel famigerato pulviscolo vulcanico vuol dire che l’allarme era maggiore del pericolo. «Le analisi che abbiamo effettuato, insieme a quelle di altre compagnie, dimostrano che le restrizioni non erano necessarie e i cieli britannici erano sicuri da tempo», accusa l’amministratore delegato di British Airways Willie Walsh. Prova ne sia l’operazione Vancouver: «Da giovedì non facciamo che minimizzare il rischio, nessuno meglio delle compagnie può fornire garanzie sulla sicurezza dei passeggeri e dell’equipaggio».
Chi ha diritto allo scettro di Zeus? Secondo il responsabile della Caa Andrew Haines, noto per aver guidato l’operatore ferroviario First Great Western così controversamente da farlo ribattezzare Worst Great Western, il divieto di volo era scritto nel cielo come un oracolo: «Il Regno Unito ha livelli di sicurezza tra i più alti del mondo e non avremmo mai permesso alle compagnie di comprometterli». Gli scienziati, per ora, sono con lui. «I risultati dei test sulla concentrazione della cenere effettuati dal Natural Environment Research Council nei primi 4 giorni sono simili a quelli di altri istituti di ricerca europei», nota il professor Grant Allen del Centre for Atmospheric Science dell’università di Manchester. Vale a dire, nessun eccesso di zelo.
Governo sotto tiro
«Ci abbiamo rimesso tutti, inutile recriminare» taglia corto Lyn Simpson, aspettando l’imbarco per Halifax, in Canada, con il marito Anthony. I 200 mila inglesi sulla via del ritorno troveranno ad aspettarli la campagna elettorale. Il sindaco di Londra Boris Johnson è sulle barricate contro la rigidità del sistema e i libdem hanno già chiesto l’apertura di un’inchiesta. Se non esce fuori al più presto il responsabile politico apriti cielo.
FRANCESCA PACI