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 2010  aprile 22 Giovedì calendario

IL SORTILEGIO DI MONTECITORIO

Nel mondo dei blog, lì dove ognuno scrive quel che gli pare, è stata accesa la miccia, piccola ma insidiosa. Sostiene Franco di Vittorio Veneto: «Non è che fare i presidenti della Camera porta sfiga?». E battutine analoghe corrono su altri siti. Dice Palte: «Evidentemente fare il presidente della Camera fa sballare le persone...». Decimo: «C’è una maledizione su Montecitorio?». Naturalmente affibbiare a persone o luoghi l’etichetta iettatoria è una di quelle superstizioni che fanno comodo a chi le diffonde. Come le dicerie degli untori. Eppure la storia dei presidenti della Camera nel dopoguerra propone una sequenza eloquente: nei primi 45 anni della Repubblica tutti i presidenti della Camera (esclusi i comunisti Ingrao e Iotti) sono poi diventati Capi dello Stato. La sequenza è inesorabile: Giovanni Gronchi, Giovanni Leone, Giuseppe Saragat, Sandro Pertini, Oscar Luigi Scalfaro, Giorgio Napolitano. Fino ad una certa fase non è stata una superstizione: Montecitorio portava bene, benissimo ai suoi Presidenti, che nel giro di qualche anno (o di qualche giorno, come nel caso di Scalfaro), puntualmente ascendevano da Montecitorio al Quirinale.
Un’ascesa favorita da una costante: nei primi quattro decenni della Repubblica tutti coloro che venivano eletti presidente della Camera erano personaggi prestigiosi, mai leader di partito. Nel 2001 la svolta: Pierferdinando Casini, numero uno del Ccd, chiede a Berlusconi la presidenza della Camera. Dopo di lui, anche il leader di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti e quello di An Gianfranco Fini chiedono la stessa cosa: la guida di Montecitorio. Con effetti, almeno a breve, poco gratificanti per i diretti interessati. Nel 2001 Casini, prima di diventare presidente della Camera, sedeva nel Pantheon del centro-destra. Nei cinque anni trascorsi a Montecitorio il Pier sceglie di svolgere il ruolo di coscienza critica del centrodestra, il Cavaliere non lo dimentica e nel 2008, quando si issa sul predellino, impone condizioni quasi impossibili per Casini. Che da allora - un po’ per scelta, un po’ per necessità - resta leader ma fatica a nuotare in mare aperto, come dimostrato dalle ultime Regionali, dove l’Udc è andato bene soltanto laddove era alleato col centrodestra.
E Bertinotti? Per non restare coinvolto nel Prodi-bis, nel 2006 il ”Fausto il rosso” sceglie la Camera. Una terzietà mal vissuta: nel dicembre del 2007, Bertinotti rilascia un’intervista inusuale per un personaggio del suo stile, quella nella quale paragona Prodi ad un «poeta morente» e sentenzia il «fallimento» del governo. Il Prodi-bis cade, ma alle successive elezioni l’ex presidente della Camera torna in campo, intestandosi una sconfitta epocale: la Sinistra arcobaleno resta fuori dal Parlamento. Anche Fini ottiene, nel 2008, la leadership di Montecitorio, con effetti sulla sua ”carriera” che è ancora presto per valutare. Sostiene il ministro Gianfranco Rotondi: «Berlusconi confermò la sua generosità, lasciando a Fini la scelta». E Stefano Ceccanti, senatore del Pd e costituzionalista, sorride: «E’ vero, ma Berlusconi ha dimostrato di non aver imparato la lezione di sette anni prima, quando Casini fece pesare politicamente la presidenza della Camera». E sulla svolta che ha spinto, dal 2001 in poi, tre leader di partito a scegliere Montecitorio, oltre al vantaggio delle mani libere, Ceccanti indica un altro motivo: «Con la riforma Violante, in caso di dissidio tra i capigruppo della Camera, è il Presidente che decide il calendario dei lavori. Un’opzione che in Italia attribuisce allo speaker un potere di veto sull’avanzamento delle leggi che può essere decisivo nella attuazione del programma di governo». E la cattiva sorte che accompagna gli ultimi leader di Montecitorio? Un costituzionalista senza etichette come Paolo Armaroli la spiega così: «Nel 1877 Crispi, un politico fegatoso che certo non adorava il sistema parlamentare, diventando presidente della Camera, si fece togliere dalla ”chiama” e da allora i presidenti non votano più. O fai il presidente di assemblea, sperando in più alti destini. O fai il capopartito. Ma se giochi due parti in commedia, prima o poi rischi di pagare pegno».