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 2010  aprile 22 Giovedì calendario

LA RISPOSTA UMANA DEL REPORTER-ROBOT

Il reporter quasi perfetto ha occhio per i particolari insoliti, sa fare domande, sa ascoltare e scrivere rapidamente. Oggi deve saper fare anche qualche foto e magari qualche minuto di video e inviarli online. Sempre più rapidamente. Il giornalista perfetto fa le stesse cose, ma per 24 ore, senza fermarsi nemmeno un minuto e non chiede lo stipendio. Non a caso è un robot.Quest’automa ancora non è entrato nelle redazioni, ma sta già prendendo forma nei laboratori e nelle sperimentazioni con le scuole di giornalismo. Nell’Intelligent Systems Informatics Lab (Isi) dell’Università di Tokyo hanno già messo a punto un reporter-robot che, al posto di penna e taccuino, ha un cervello elettronico collegato a internet e una telecamera montati su pianale di un Segway, ma che è in grado di esplorare l’ambiente che locirconda, che cosa cambia e descrivere ciò che osserva. Può perfino identificare le persone che incontra e porre loro domande, mentre ricerca in rete altre informazioni. Se qualcosa sembra degno di notizia, in poche frazioni di secondo diventa un "pezzo" che va direttamente online o ai server della redazione.
L’Mit di Boston aveva già sviluppato nel 2002 Afghan eXplorer, un piccolo rover-reporter, che però era dotato di pochissimi sistemi intelligenti e veniva in gran parte comandato a distanza per evitare ai colleghi in carne e ossa le aree più rischiose. I ricercatori giapponesi si sono invece spinti oltre dando processori e bit a uno dei peggiori incubi di chi oggi abita le redazioni e trema al solo pensiero di un Hal 9000 già prontoa mandarlo in pensione (nell’iperspazio). «Non pensiamo assolutamente di rubare il lavoro ai giornalisti, ma di generare contenuti che oggi sarebbe antieconomico produrre perché troppo di nicchia» sottolinea Kris Hammond dell’Infolab, il laboratorio di intelligenza artificiale della Northwestern University a Evanston, vicino a Chicago, che insiemea Larry Birnbam ha messo a punto Stats Monkey, un sistema di intelligenza artificiale che si firma un po’ minacciosamente " The Machine" ed è in grado di sfornare la cronaca di una partita di basket, football, tennis, pallavolo e molto altro pochi millisecondi dopo la sua fine e senza sbagliare una virgola. Stats Monkey è un sistema molto potente, in grado di imparare mentre lavora e di sfornare storie in tutte le lingue perché parte da dati di input numerici e attinge a un archivio grammaticale, sintattico e idiomatico appositamente costruito da giornalisti in carne, ossa e neuroni. Guai però a pensare a un contendente a Google News, composto da algoritmi che aggregano contenuti già esistenti prodotti dai giornalisti o di Newsblaster, sviluppato della Columbia school of journalism che sintetizza automaticamente le notizie. «Noi puntiamoa creare contenuti nuovi e di qualità per tante nicchie diverse, dalle partite di baseball delle elementari alle gare amatoriali e universitarie » spiega Hammond la cui start-up "Narrative science" ha appena siglato un accordo perché " The Machine" assicuri la copertura giornalistica delle partire di baseball dei "BigTen", i dieci college statunitensi leader in campo sportivo come Northwestern, Michigan e Wisconsin University. Il modello di business di Hammond per le news è ancora sperimentale, ma richiama esplicitamente l’economia della "coda lunga" descritta dal fisico e direttore di Wired, Chris Anderson, nel suo «The Long Tail». il modello di Amazon e Netflix, che contano moltissimi titoli che non sono dei bestseller, ma che, tutti insieme, generano più introiti dei grandi, ma pochi blockbuster.
I giornalisti più intelligenti, invece di trincerarsi nelle redazioni stanno però già preparando le contromosse. Per il 2011 la Columbia University si prepara a offrire un programma di laurea combinato di giornalismo e scienze informatiche che nei prossimi anni dovrebbe sfornare professionisti in grado di gettare nuovi ponti tra due mondi che rischiano di entrare in collisione. «Credo che le innovazioni più utili a sollevare il giornalismo dalla crisi attuale verranno dalla tecnologia più che dal business – ha recentemente spiegato Bill Grueskin preside della Columbia School of Journalism ”. Se il giornalismo vuole sopravvivere, deve trovare un modo per portare l’informazione ai suoi lettori, ascoltatori o spettatori in maniera più efficace. E uno dei modi di farlo è creare noi stessi tecnologie in grado di far emergere le informazioni molto più efficacemente».