Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 22 Giovedì calendario

2 articoli – IL PALCOSCENICO DEL POTERE - Scavati da Giacomo Boni tra il 1900 e il 1905, erano fino ad oggi in parte esposti a Palazzo Massimo e in gran parte appesi al muro in una stanza della Soprintendenza per i beni archeologici di Roma, ma nascosti alla vista da enormi «custodie» in legno

2 articoli – IL PALCOSCENICO DEL POTERE - Scavati da Giacomo Boni tra il 1900 e il 1905, erano fino ad oggi in parte esposti a Palazzo Massimo e in gran parte appesi al muro in una stanza della Soprintendenza per i beni archeologici di Roma, ma nascosti alla vista da enormi «custodie» in legno. Ora i frammenti in marmo pentelico, che appartenevano al fregio della basilica Emilia, sono finalmente riuniti e visibili nella mostra «Memorie di Roma», curata da Maria Antonietta Tomei con il supporto organizzativo di Electa e aperta da ieri all’interno della vicina Curia Iulia, sul lato nord della piazza del Foro. Accanto al fregio, alcune statue che celebrano la storia degli Emili e fanno capire come la basilica fosse anche luogo di propaganda politica della famiglia. Intanto, dal 2005, Klaus Stefan Freyberger, direttore scientifico dell’Istituto archeologico germanico, ha ripreso a studiare i frammenti del fregio, proponendo una nuova datazione. Le scene in rilievo, che raccontano gli episodi delle origini di Roma e la storia degli Emili, la famiglia gentilizia più antica, ornavano le pareti interne della basilica, fondata nel 179 a.C. dai censori Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore, ma ricostruita varie volte in seguito ai danni subiti dagli incendi. La pianta tuttavia è rimasta la stessa: un grande edificio a tre navate, che aveva davanti al lato meridionale una fila di botteghe e un portico orientati verso la piazza del Foro. All’inizio del primo secolo a. C. la basilica venne ampliata e articolata su due piani e dopo l’incendio del 14 a.C. completamente rinnovata. Infatti, mentre in origine e per circa due secoli era stata costruita in tufo e travertino, al tempo di Augusto divenne l’edificio più lussuoso al centro dell’Urbe, con pareti completamente ricoperte di marmo lunense, il pavimento decorato con costosi marmi policromi e le colonne in marmo africano dotate di capitelli ionici nell’ordine inferiore e corinzi in quello superiore. E il fregio in che periodo fu realizzato? Sull’argomento le controversie tra gli studiosi sono ancora accese. Fino ad oggi si pensava che fosse un rilievo figurato continuo, lungo circa 180 metri, quanto il perimetro dell’intera basilica. E che fosse stato scolpito intorno all’80 a.C. In realtà non era mai stato analizzato nel suo contesto architettonico. L’ha fatto di recente Freyberger, proponendo una nuova datazione, le cui ragioni sono articolate in uno studio che sarà presto pubblicato. L’archeologo è convinto che il fregio sia di età augustea e porta a testimonianza gli abiti e le acconciature dei personaggi raffigurati, come la forcella e la ciocca di capelli pettinata verso destra sulla fronte di due teste maschili nella rappresentazione del Ratto delle Sabine. E il contenuto di alcune scene figurative, che celebrerebbero la storia di Roma dal periodo della fondazione fino appunto all’età augustea. Freyberger, a riprova della sua ipotesi, ha analizzato attentamente il marmo e non ha trovato traccia di incendi. Quindi il fregio deve essere per forza successivo a quello del 14 a.C. L’archeologo ha trovato una spiegazione anche per i particolari classici ed ellenistici che pur si ravvisano in certe teste, e il fatto che il marmo sia pentelico, ossia quello che si importava in età repubblicana dalla Grecia (mentre al tempo di Augusto si cominciò a usare il marmo lunense, di Carrara): «Il rilievo fu eseguito in Grecia da una vecchia bottega di artigiani che si rifacevano alla tradizione». L’altra scoperta riguarda la dimensione del fregio: non si tratterebbe di un rilievo continuo, ma di una serie di pannelli, ognuno narrante una singolo episodio della storia romana. Non sono queste le uniche novità offerte dalla mostra. Per l’occasione l’area della Basilica Emilia è stata completamente risistemata, anche con nuovi supporti informativi, progettati dallo studio di Michele de Lucchi, e una illuminazione messa a punto dall’architetto Piero Castiglioni, che di notte ne rende visibile la pianta e i resti delle colonne da via dei Fori Imperiali. La mostra si inserisce così all’interno del più ampio programma di valorizzazione del Foro romano, del Palatino e del Colosseo, che dovrebbe essere portato avanti nei prossimi mesi, come hanno sottolineato il soprintendente archeologico di Roma Giuseppe Proietti e il sottosegretario ai Beni culturali Francesco Giro. Lauretta Colonnelli UN SOLO NOME PER QUATTRO CONSOLI LA SAGA DEI MARCO EMILIO LEPIDO - L’affermazione delle famiglie gentilizie avveniva anche con la costruzione di edifici sacri o civili, che venivano poi presi in carico dai discendenti del costruttore, ai quali spettava il compito di occuparsi dei restauri successivi. La gens Aemilia fu una delle più attive in questo senso. Ci sono almeno quattro diversi Marco Emilio Lepido passati alla storia. Il primo, che fu console, censore e pontefice massimo, fondò la basilica nel Foro nel 179 a.C.. Ma aveva già costruito nel 187 a.C., dopo la sottomissione dei Liguri, il prolungamento della via Flaminia da Rimini a Piacenza, che si chiamò appunto via Emilia, mentre la città di Reggio Emilia si chiamava Regium Lepidi in suo onore. Costruì anche un pons Aemilius, il primo ponte in pietra di Roma, più volte distrutto dal Tevere, i cui resti oggi sono noti come Ponte Rotto. Il secondo Marco Emilio Lepido fu console nel 78 a.C. Oltre a restaurare la basilica, tentò di ridimensionare l’ordinamento di Silla proponendo il richiamo degli esiliati, il ripristino delle distribuzioni frumentarie e la restituzione di terre confiscate. Si chiamava Marco Emilio Lepido anche suo figlio, collega di Ottaviano e Marco Antonio nel Secondo Triumvirato. Il quarto Marco Emilio Lepido è quello di cui parla Tacito negli Annali, console nel 6 d.C. e restauratore della basilica nel 22: «Era ancora in uso a quei tempi la pratica della munificenza pubblica da parte dei cittadini privati. Seguendo tale esempio Lepido fece rivivere lo splendore degli avi, sebbene la sua fortuna fosse modesta». (L.C.)