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 2010  aprile 22 Giovedì calendario

SCHIFANI: FINI? SE FA POLITICA LASCI LA CAMERA

«Con Gianfranco Fini mantengo un ottimo rapporto personale e istituzionale», ma non è da presidente del Senato che Renato Schifani si rivolge al presidente della Camera, è da dirigente del Pdl che confuta le tesi del collega di partito, lo mette in guardia dagli effetti che la sua iniziativa potrebbe provocare. «Perché confido ancora che non si apra la strada del correntismo nel Pdl, una deriva che più volte Fini criticò, parlando di "metastasi". Appena un anno fa, al congresso di scioglimento di An, disse infatti che nel nuovo partito non ci sarebbe stata correntocrazia, e all’atto fondativo del Pdl ribadì il concetto. Ora purtroppo registro un’inversione di pensiero da parte sua. Tuttavia attendo, spero non accada. Altrimenti...».

Ed è così che Schifani introduce un tema delicatissimo, lo fa ricordando che «nell’ultimo periodo Fini ha assunto posizioni e iniziative politiche. Sarà pure "cofondatore" del Pdl ma è anche presidente della Camera. E dinnanzi alla prospettiva di un sistema correntizio nel partito, non vedrei male l’ipotesi che lasciasse Montecitorio ed entrasse nel governo, per avere mani libere e libertà di azione politica rispetto ai limiti che il ruolo istituzionale impone». Un nodo che - svestendo i panni di presidente del Senato - avrebbe affrontato oggi in direzione, alla quale però non parteciperà. Schifani nega si tratti di una provocazione ai limiti del conflitto tra cariche dello Stato, «non lo è, lungi da me l’idea. Peraltro Fini sta svolgendo il suo compito con autorevolezza e prestigio. un ragionamento politico, il mio, svolto in chiave costruttiva e non polemica. Altri hanno fatto polemiche, e anche peggio».
Il presidente del Senato si riferisce alla minaccia dei finiani di far nascere nuovi gruppi parlamentari, «un’opzione da un lato insostenibile, alla luce del risultato elettorale che ha premiato il governo e la maggioranza, e dall’altro incompatibile con gli equilibri del centrodestra. Semmai si fosse realizzato un simile scenario, resto dell’idea che la conseguenza inevitabile sarebbe stata il ritorno alla urne, fatte salve le prerogative del capo dello Stato. Ora l’ipotesi è che si vada verso la nascita di una corrente, che amio avviso farebbe subire un processo involutivo al Pdl. Perché se il correntismo, legato a schemi da Prima Repubblica, divenisse uno strumento per logorare l’azione di governo, ognuno poi dovrebbe assumersi le proprie responsabilità. Sia chiaro, considero positiva la richiesta di un maggior dibattito all’interno del partito. Ma mi auguro che tutto resti dentro un quadro unitario».
A detta di Schifani è lo stesso auspicio di Silvio Berlusconi, «che è contrario al correntismo e non lo condividerà mai. Non appartiene alla sua storia politica, alla storia cioè di chi proviene da Forza Italia. So che dentro An era diverso, e comunque - come in ogni partito democratico - le regole sono chiare: le decisioni - tranne sui temi eticamente sensibili - vengono prese amaggioranza, e tutti devono poi adeguarsi. Diversamente sarebbe un modo surrettizio di costituire gruppi autonomi senza dichiararlo. Ma gli effetti sarebbero gli stessi: chi lo facesse si porrebbe fuori dal Pdl e il voto anticipato tornerebbe ad essere a mio avviso ineluttabile». La direzione di oggi sarà un tornante per molti aspetti decisivo, «e sono certo che Berlusconi si aprirà al dialogo, l’ha sempre fatto. Vorrei ricordare che sulle candidature per le Regionali ha accettato soluzione diverse dalle sue proposte. Perciò penso che dipenda più da Fini l’esito del confronto, e mi auguro che da una fase acuta, da uno sfogo spontaneo, si ritorni alla politica e si trovino i giusti rimedi».
«Dipende da Fini», secondo Schifani, che non condivide l’analisi dell’ex leader di An. A iniziare dalla tesi secondo la quale Berlusconi l’avrebbe isolato. «Intanto è stato lui a scegliere il ruolo di presidente della Camera, che ingessa politicamente. Altrimenti non si sarebbe verificato questo isolamento, che poi è solo apparente. Quali sono stati gli strappi da parte del premier? Non c’è stata scelta priva dell’assenso di Fini: dai candidati alle Regionali, alle leggi sulla giustizia, al federalismo fiscale, ai provvedimenti finanziari. Sulle future riforme nessuno ha preso decisioni. Anch’io non ho condiviso l’iniziativa del ministro Roberto Calderoli di portare al Quirinale la bozza sul semi-presidenzialismo, ma ci sarà tempo perché Fini sieda al tavolo con Berlusconi e Umberto Bossi per arrivare a una sintesi condivisa anche in Parlamento. Preferibilmente non solo dalla maggioranza».
Quanto all’accusa lanciata verso il premier di aver consentito che il Senatùr diventasse il «dominus» della coalizione, «è infondata»: «Se una trazione leghista c’è - dice Schifani - è figlia di un’azione politica e programmatica, frutto dell’azione di governo a Roma e soprattutto sul territorio. Non mi pare che la Lega faccia una politica delle poltrone: ha solo tre ministri su ventitrè. Vogliamo parlare del lavoro di Roberto Maroni al Viminale? Dei risultati ottenuti nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata e sull’immigrazione clandestina? Del lavoro di Calderoli, che - tranne lo scivolone sulla bozza di riforme - è stato abile a trovare un compromesso con l’opposizione sul federalismo fiscale? Della capacità di Bossi che - abbandonata l’idea della secessione - è stato capace di costruire una nuova classe dirigente giovane e preparata?».
Così parte un’altra pesante critica all’ex capo della destra, «che parla a nome della destra spendendo posizioni e valori che di destra non sono». Di più: «Penso che proprio le sue posizioni su sicurezza, immigrazione, famiglia, hanno determinato al Nord il passaggio di molti elettori di An verso la Lega. più che lecito cambiare idea, ma occorre poi fare i conti con le conseguenze di questo cambiamento. Non so quanti dei finiani su questi temi siano d’accordo con Fini».
Schifani non lo è, «come non sono d’accordo con la tesi che la trazione leghista stia spaccando il Paese e provocando danni al Sud. Di quale Sud parliamo? Perché io sono stanco di un meridionalismo piagnone, assistenziale e clientelare. La sfida federalista, lo dico da parlamentare del Sud, ci impone una svolta culturale. Il federalismo fiscale dev’essere solidale, e su questo siamo tutti d’accordo. Però basta con l’andazzo, per anni nel Mezzogiorno sono arrivati flussi ingenti di danaro, ma è mancata la qualità della spesa. Mi conforta comunque che stia crescendo una nuova classe dirigente che invertirà questa tendenza. C’è un deficit infrastrutturale, certo, infatti spero che il governo presenti presto un piano straordinario, lo deve fare. Ma è impensabile, per esempio, che ancora oggi si assista a quanto accade in Sicilia, dove la spesa della regione è superiore a quella della Lombardia, che ha quattro milioni di abitanti in più».
Erano i temi che Schifani si era appuntato per l’intervento, se oggi fosse andato in direzione. Con un’annotazione finale, «l’auspicio che prevalga il senso dell’unità, che sia tutelato il patrimonio storico del Pdl, nato in nome del bipolarismo. Mi auguro che Fini collabori a preservare tutto ciò, perché le scelte della politica sono irreversibili. Rammento quando nel 1996 disse no alla nascita del governo Maccanico pur di andare al voto, e il centrodestra senza la Lega venne sconfitto». Per il resto non crede alle dietrologie, all’ipotesi che Fini si muova per avviare la fase post-berlusconiana, «non ci credo. Anche perché da sedici anni se ne parla nel Palazzo, ma non sarà il Palazzo a decidere chi succederà a Berlusconi. Saranno gli elettori. Quando arriverà il momento».
Francesco Verderami