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 2010  aprile 22 Giovedì calendario

UN UOMO SOLO AL COMANDO

Con l’ascesa di John Elkann alla presidenza della Fiat e la divisione del gruppo disegnata da Sergio Marchionne, si allentano i legami che per un secolo hanno stretto le sorti della Fiat a quelle del Paese, e viceversa. La svolta è stata possibile perché alla guida degli Agnelli è arrivato un giovane di formazione cosmopolita, certo educato dal nonno, ma libero da eredità regali. Giovanni Agnelli ne era in certo qual modo schiacciato. Rifiutò l’offerta d’acquisto di Fiat Auto fatta dalla Daimler, non perché non fosse buona, ma per non essere ricordato come colui che smontava l’eredità: uno dei più importanti gruppi industriali del mondo, con un’influenza sulla politica e la società senza eguali nelle democrazie. Quel gruppo l’Avvocato l’ha infine restituito in ginocchio, al termine di una lunga parabola che aveva avuto i suoi momenti forti nella resistenza al terrorismo e nella riscossa imprenditoriale contro i sindacati e quello più discutibile nella ricerca del dominio nella finanza italiana. L’esperienza della crisi ha «liberato» John Elkann. Specialmente perché la Fiat ha trovato un capo come Sergio Marchionne che l’ha salvata dalla bancarotta. Con l’uscita di Luca Cordero di Montezemolo, l’uomo che con le sue relazioni teneva ancora in piedi un simulacro di quello che fu il «partito Fiat», e prima ancora di Gianluigi Gabetti, il saggio consigliere di sempre, si ritirano gli ulti mi esponenti della cerchia dell’Avvocato. La famiglia affida i propri destini a un top manager ancor più cosmopolita, che sta traendo le conclusioni della storia degli ultimi vent’anni, forte dell’idea che l’azienda abbia oggi bisogno di lui più di quanto lui non ne abbia di quell’azienda.
La Fiat degli anni Ottanta, radicata in Italia, era più grande della Volkswagen. Oggi è più piccola e occupa in patria meno della metà dei dipendenti, mentre la casa di Wolfsburg conserva un ben più vasto insediamento tedesco.
Le promesse di investimento in Italia vanno registrate, ma la tendenza pare irreversibile. La divisione della Fiat regalerà ai soci qualche vantaggio sulle quotazioni dei titoli (verrà meno l’influenza negativa dell’auto su camion e trattori), ma consentirà anche di accasare più facilmente la Fiat Auto con altri produttori (si dice Peugeot, ma sono possibili anche altre opzioni) con una diluizione della quota degli Agnelli a loro non sgradita. In un settore dove la capacità produttiva di automobili è eccedente, il destino degli stabilimenti italiani si giocherà non solo sull’intensità della produzione, ma anche sul valore aggiunto. Germania docet. In questo senso il rilancio di Alfa e Lancia, dove Marchionne non ha avuto fortuna, resta una grande sfida. Ma chi ne risponderà se, di fusione in fusione, le convenienze si valuteranno lontano da Torino, magari soppesando gli aiuti pubblici nei quali l’Italia non può certo competere con Usa e Francia?
Massimo Mucchetti