Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 22 Giovedì calendario

TRA DIVIETI E AREE PROTETTE, RESTANO SOLO LE ”RISERVE”

Quasi ottocentomila cacciatori, che qualcuno definisce malignamente ”800mila voti”, da una parte, una pletora di associazioni e comitati dall’altra. Il mondo della caccia con il fiato sospeso in questi giorni va da Nord a Sud, e sebbene segnalato in diminuzione conta ancora molti affezionati nella penisola.
I più assidui frequentatori delle doppiette sembrano essere i toscani. Secondo i dati Istat è in questa regione che si concentra il maggior numero di cacciatori, quasi 110mila su un totale che sfiora appunto gli 800mila. Percentualmente invece sono gli umbri in testa alla classifica, con il 5,9% di maggiorenni che va a sparare almeno una volta l’anno. Il fenomeno è comunque in diminuzione, visto che dal 1980 a oggi i cacciatori sono quasi dimezzati. E soprattutto sentono che si sono ridotti i territori su cui poter cacciare. Negli ultimi anni infatti gli ettari di territorio disponibili per le attività venatorie si sono molto ridotti. Soprattutto a causa della grande espansione urbanistica che ha infatti spinto in un angolo non solo gli animali, ma anche i cacciatori. In più, proprio per far fronte a questa riduzione consistente di habitat, l’Unione Europea ha chiesto agli stati membri l’istituzione di numerose aree protette (parchi e riserve) e l’individuazione di zone speciali protette e di siti di importanza comunitaria, in cui le attività venatorie sono vietate se non a solo titolo di prelievo selettivo. E’ il caso per esempio della caccia ai cinghiali all’interno dei parchi.
E’ forse proprio per far fronte a questa riduzione di habitat che diversi cacciatori si rifugiano nelle numerose aziende faunistiche venatorie sparse su tutta le penisola. All’interno di queste speciali riserve possono cacciare tranquillamente fagiani, lepri e altre specie che vengono prontamente allevati e poi ”lanciati” proprio per essere cacciati. Per alcuni cacciatori però la caccia al fagiano nella riserva è un po’ il segno della crisi di una tradizione multimillenaria. Secondo il ”dossier caccia” della Lega italiana per la protezione degli uccelli (Lipu), nel nostro paese si possono abbattere complessivamente 12 specie di mammiferi e 34 specie di uccelli: tra gli uccelli cacciati - si legge nel rapporto - 18 specie si trovano attualmente in uno stato di conservazione sfavorevole cioè con popolazioni che stanno subendo un declino della consistenza numerica. Inoltre delle 34 specie di uccelli, 11 sono cacciate oltre il periodo consentito dalla Direttiva Europea. Questo però non basta agli amanti della caccia che sono sempre più disposti a spendere pur di avere mano libera sul grilletto.
E’ così che sempre più cacciatori italiani preferiscono mettere la doppietta sull’aereo e volare fuori dai confini dell’Unione Europea dove è possibile, dietro lauto compenso, cacciare specie esotiche e altrimenti protette. I paesi più gettonati quelli dell’Est europeo, ma anche l’Africa dove per i più esigenti si possono addirittura organizzare dei veri e propri safari al leopardo, alla giraffa e anche al coccodrillo. Nell’Est Europa le agenzie di viaggio specializzate propongono pacchetti ad hoc per la caccia all’orso bruno e al lupo, specie simbolo della natura in pericolo.
Il mondo della caccia è fatto però anche di caccia illegale, il bracconaggio che è in costante aumento. Nel 2008 l’ispettorato Generale del Corpo Forestale dello Stato ha accertato 1.738 reati, con 6 arresti, 5.587 violazioni amministrative e sanzioni pecuniarie per 2,4 milioni di euro. La regione con maggiori illeciti e’ la Toscana (881), poi Lazio (698), Abruzzo (518), e Basilicata (400). «Il fenomeno non è in regresso - ha spiegato Isidoro Furlan, Comandante del nucleo investigativo del comando provinciale di Vicenza del Corpo forestale alla presentazione dei dati - ed in alcune regioni, come in Puglia, è controllato dalla mafia, che arriva a chiedere sino a mille euro a persona per la caccia abusiva di due-tre notti agli uccelli acquatici negli acquitrini, dai barili in acqua. E il mercato - aggiunge - appare florido e si assiste ad una sorta di migrazione dei bracconieri da una regione all’altra, soprattutto nel Sud Italia, durante l’anno».