Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 22 Giovedì calendario

IL PIANO DI ISRAELE PER COLPIRE TEHERAN CON O SENZA GLI USA

Contro il rischio di un Iran nucleare in Israele è partito il conto alla rovescia. Nel governo falchi e colombe si confrontano sull’urgenza di portare da soli, con o senza il via libera di Obama, un attacco militare che distrugga le centrali di Ahmadinejad e ritardi i suoi sogni di potenza atomica che ”vuole spazzare Israele dalla mappa”. Nell’esercito, si studiano le rotte possibili per far arrivare i jet con la stella di David sugli obiettivi di Arak, Qom, Natanz e Bushehr, sedi degli impianti per l’arricchimento dell’uranio e per la imminente costruzione degli ordigni. Tra i politici, al momento, non c’è però unanimità sulla strategia da seguire.
La decisione ultima spetterà al premier Ben Netanyahu, la cui ostentata assenza al recente vertice nucleare di Washington diretto da Obama è stata un forte segnale al governo americano della sfiducia israeliana sulla efficacia della posizione Usa nella doppia partita Israele-Palestina e Israele-Iran. Ma l’importanza di non rompere con il più storico e fidato alleato di Israele è ben presente nel dibattito interno, come ha recentemente ricordato il ministro della difesa di Gerusalemme Ehud Barack.
LA SICUREZZA
Pur rivendicando che «solo noi abbiamo l’esclusiva responsabilità quando sono in gioco il destino e la sicurezza di Israele, e solo noi possiamo determinare le materie che riguardano il futuro di Israele e del popolo ebraico», Barack ha aggiunto che «non dobbiamo mai perdere di vista quanto importanti siano le relazioni con gli Usa, o la possibilità di agire in armonia e in unità con gli Stati Uniti». In passato, nel 1981, gli israeliani colpirono il reattore di Osirak in Iraq prendendo di sorpresa gli Usa, ma quando nel 2007 attaccarono una sospetta centrale in Siria si procurarono prima il tacito ok di Bush. Ora le relazioni tra Obama e Netanyahu sono di diffidenza reciproca, anche per l’imbarazzo che è seguito alla pubblicazione di un documento interno alla amministrazione in cui, nel gennaio scorso, il ministro Usa della difesa Robert Gates denunciava l’assenza di una chiara strategia americana verso l’Iran: all’incertezza sulla capacità di ottenere sanzioni serie in consiglio di sicurezza per la resistenza di Cina e Russia, Gates aggiungeva l’indecisione sul che fare per impedire ai tecnici iraniani di tagliare il traguardo della realizzazione delle testate nucleare per i loro missili. Secondo vari osservatori, a Teheran mancherebbe infatti solo un anno di lavoro per raggiungere l’obiettivo.
Obama ha fatto sapere per canali riservati a Israele che Washington si oppone ad una azione unilaterale israeliana, e ha anche fatto dire pochi giorni fa a Mike Mullen, il comandante supremo delle forze armate congiunte americane, che l’offensiva militare è «l’ultima opzione». Israele, che ufficialmente appoggia la linea delle sanzioni, lo fa con uno scetticismo che aumenta nel tempo, poiché l’Iran non nasconde neppure i "progressi" del suo impegno a costruire impianti nucleari e ad arricchire l’uranio, nascondendosi dietro la foglia di fico dell’uso "civile", a cui peraltro non crede nessuno né in America né in Europa. E quindi i vertici militari di Gerusalemme preparano il piano B, e studiano le rotte possibili, come mostra una mappa del Center for Strategic and International Studies riportata dal Wall Street Journal.
L’ATTACCO
Le opzioni sono quattro, da nord a sud, ognuna con i suoi diversi rischi politici e militari. La prima prevede una tratta sul Mediterraneo e poi l’attraversamento dello spazio aereo turco, alleato degli Usa, e infine un corridoio iracheno controllato dagli americani. La seconda passa sul confine libanese e giordano e poi sull’Iraq, e Gerusalemme ha con la Giordania l’accordo di avvisarla prima di attraversare il suo spazio aereo.
La terza, a sud, comporta la violazione dello spazio dell’Arabia Saudita con il rischio di inimicarsi il potente amico dell’America, e poi un lungo tratto sul territorio iracheno. Infine, la rotta più a sud delle quattro attraverserebbe l’intera Arabia Saudita, il minuscolo Kuwait e arriverebbe in Iran dal Golfo persico, direttamente nei pressi della centrale di Bushehr. Da un punto di vista militare, la dislocazione delle altre tre centrali a nord di Bushehr e a sud di Teheran consiglierebbe ai comandi israeliani l’utilizzo combinato di tutte le rotte. Ma saranno sicuramente soppesate pure le implicazioni politiche del coinvolgimento di Turchia, Giordania, Arabia Saudita e Iraq.