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 2010  aprile 22 Giovedì calendario

CENTO MILIONI BUTTATI PER L’OPERA

Nel foyer del Metropolitan di New York gli appassionati dell’opera possono leggere un lungo elenco di nomi, tra i quali Rockfeller Group ed Estée Lauder, Texaco Inc. Sono quelli dei finanziatori privati del teatro. In Italia non esiste niente del genere. Anzi, le fondazioni lirico-sinfoniche sono sostenute quasi esclusivamente dallo Stato. E perdono cifre astronomiche.
Per questo nei giorni scorsi il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge di riforma delle 14 Fondazioni lirico-sinfoniche esistenti sul territorio nazionale. Fu l’allora ministro Walter Veltroni, nel 1996, a trasformare in fondazioni strutture che vanno dal Teatro Comunale di Bologna al Petruzzelli di Bari, passando per il Teatro Massimo di Palermo, il Regio di Torino, La Fenice di Venezia, l’Accademia di Santa Cecilia... L’obiettivo era di incentivare l’intervento dei privati. Oggi, però, si può dire che quella riforma è fallita: i finanziatori non pubblici contribuiscono appena per l’8%, gli Enti locali forniscono circa il 28% dei soldi e tutto il resto è a carico dello Stato. Il provvedimento di Bondi mira a segnare «un percorso che porterà a una gestione più efficiente ed efficace di queste importanti istituzioni culturali, razionalizzandone le spese e favorendo, oltre alla produttività del settore, la crescita qualitativa delle produzioni», alla «razionalizzazione dell’organizzazione e del funzionamento delle fondazioni liriche, l’incentivazione dell’apporto di capitali privati e la possibilità di riconoscere diversi gradi di autonomia delle fondazioni a partire dal Teatro alla Scala di Milano e dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia».
Tutte misure di cui si sente estremo bisogno, almeno a giudicare dai dati diffusi ieri dal Ministero dei Beni Culturali. Leggendoli, si scopre che dal 2004 al 2008 (ultime cifre disponibili) il passivo dei vari teatri ammonta, complessivamentea100.140.730 euro. Nel 2008, i risultati sono stati devastanti: una perdita di oltre 32 milioni e 500 mila euro. Il prestigioso Teatro dell’Opera di Roma ha perso oltre 11 milioni di euro, il Carlo Felice di Genova circa 10 milioni e mezzo.
Ma le cifre più interessanti sono quelle che riguardano il finanziamento pubblico. Nel 2008, le
Fondazioni lirico-sinfoniche hanno beneficiato di 249.696.259,02 euro. I fondi per il 2009 sono stati di poco inferiori: 240.328.148,98 euro.
Secondo Bondi, la situazione è «difficile» e «negli ultimi anni ha portato al commissariamento di 5 delle 14 fondazioni liriche. Infatti a tali istituzioni è assegnato il 47% del Fondo Unico per lo Spettacolo, destinato per intero a coprire i costi dei dipendenti. Le spese per il personale, che assorbono circa il 70% del finanziamento pubblico agli enti lirici e hanno raggiunto un valore economico superiore al solo finanziamento statale, costituiscono un serio pericolo per la sopravvivenza di tali enti.» Nel solo 2008, gli interessi passivi delle fondazioni sono stati di oltre 9 milioni 815 mila euro. Nello stesso anno, i costi per il personale sono stati di 340 milioni di euro (la Scala ne ha spesi oltre 63, l’Opera di Roma oltre 43, il Maggio musicale fiorentino più di 28). Il quadro è da brividi. Gli osservatori più ottimisti, tuttavia, notano dei miglioramenti. I bilanci pre-consuntivi del 2009 mostrano una perdita complessiva di soli 2 milioni 667 mila euro rispetto agli oltre 32 dell’anno precedente. Mentre i bilanci preventivi per il 2010 evidenziano una perdita di 6 milioni e mezzo circa. Un grande passo avanti, sembrerebbe. In realtà, non c’è troppo da sorridere.
Perché è vero che negli ultimi anni molte fondazioni stanno migliorando, però, rispetto al 2009, mancano ancora i bilanci della Fenice di Venezia, del Regio di Torino e della Santa Cecilia. Non solo: bisogna vedere se i consigli di amministrazione delle varie fondazioni approveranno le cifre diffuse dal ministero oppure sforeranno. Ci sono, è vero, delle Fondazioni virtuose. L’Arena di Verona, per esempio, ha chiuso con il segno più seguito dalla cifra di oltre 959 mila euro. La Scala è in pareggio. Il Massimo di Palermo ha circa 877 mila euro di attivo. Ottimi risultati. Analizzando i numeri nel dettaglio, però, si scopre che gode non solo di notevoli sovvenzioni statali (oltre 20 milioni di euro), ma incassa pure una grossa cifra dalla Regione Siciliana: più o meno 13 milioni di euro. Niente male. Diverso il discorso per l’Arena e la Scala: beneficiano di molti fondi pubblici, però chiudono senza perdite anche grazie a un buon contributo dei privati. In questi casi, l’interazione tra il pubblico e i mecenati funziona. Negli altri molto, molto meno.
La polemica sulle Fondazioni, del resto, va avanti da anni. Lo scorso gennaio, esplose dopo le dichiarazioni di Tiziano Scarpa, lo scrittore vincitore del premio Strega 2009, che dichiarò al Corriere Veneto: «Nel teatro gran parte dei finanziamenti pubblici se li mangia l’opera, le risorse vanno tutte lì.La lirica è una sciagura! Non m’interessa, la vedo come una cosa triste, penso che bisognerebbe congedarsi dalla lirica, fare qualche dvd e smetterla: è una cosa che non ha più senso fare». Le impressioni di Scarpa vengono confermate dai dati del ministero. Vero è che la lirica è un patrimonio culturale inestimabile del nostro Paese e quindi, se possibile, va difesa. Però le cifre spese ogni anno dallo Stato sono incredibili.
Come si risolve questa situazione di oggettiva difficoltà? Innanzitutto spronando le singole fondazioni a contenere i costi, come sta cercando di fare Bondi. Facile a dirsi, meno a farsi. I sindacati sono già sul piede di guerra: venerdì si riuniranno i lavoratori della Scala (dove il costo del personale nel 2008 è stato di 63 milioni di euro) e promettono risposte «di fuoco». Amministrazioni di sinistra come quella di Firenze hanno già dato fiato alla protesta, sostenendo che il decreto appena approvato comporta il ”declassamento” del Maggio musicale fiorentino (che dal 2004 al 2008 ha perso oltre 17 milioni di euro). Risultato: sia il Comune che la Regione aumenteranno i fondi pubblici a disposizione della Fondazione.
Se non bastassero sindacati e politici alfieri dell’antico regime, c’è pure il fatto che in Italia sembra mancare completamente la cultura del mecenatismo. Più volte il supermanager dei musei Mario Resca lo ha fatto notare e puntualmente gli sono piovute addosso valanghe di critiche. Come si fa ad attirare i privati? Una proposta intelligente la fece a libero Francesco Girondini dell’Arena di Verona: «Bisognerebbe mettere in pratica la totale defiscalizzazione di quanto investito in cultura». Anche in questo caso, la risposta migliore è il taglio delle tasse.