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 2010  aprile 22 Giovedì calendario

L’ITALIA HA IL RECORD DELLE TASSE STATALI

Che il sistema fiscale nostrano sia da rivedere completamente o quasi non è davvero in discussione. In questo senso, il nuovo studio diffuso dalla Cgia di Mestre aggiunge ulteriori elementi all’annosa discussione sullo sbilanciamento della distribuzione tributaria fra Stato centrale ed enti locali. La ricerca mette a confronto i regimi tributari di diversi Paesi europei soprattutto Italia, Germania, Francia, Spagna -, in particolare calcolando quanto del gettito raccolto finisce allo Stato centrale, e quanto invece resta alle istituzioni territoriali. Per poi valutare i rispettivi livelli di tassazione cui sono sottoposti i cittadini.
E insomma, l’Italia manco a dirlo ne esce parecchio male. Per quanto riguarda il centralismo impositivo, qui da noi su complessivi 457,4 miliardi di entrate tributarie totali 354,6 vanno all’Erario e solo 102,7 miliardi a Regioni, Province e Comuni. Tanto per semplificare: ogni 100 euro versati di imposte, 77,5 finiscono nelle casse dello Stato centrale, e soltanto 22,5 agli enti locali. A fronte di questa situazione, i cittadini italiani subiscono una pressione tributaria vale a dire l’incidenza di imposte, tasse e tributi sul Pil, esclusi i versamenti contributivi una pressione tributaria, dicevamo, del 29,1 per cento.
CONFRONTI IMPIETOSI
E allora, vediamo come ne escono gli altri. La Germania federale, con una percentuale di entrate ”centrali” del 49,4 per cento (quindi il 50,6 resta alle istituzioni locali), registra una pressione tributaria del 23,9: dunque, rispetto all’Italia, meno incassi fiscali da parte dello Stato centrale e meno tasse ai cittadini. Stesso discorso per la Spagna: allo Stato finisce il 50,7 per cento del prelievo fiscale, e la pressione tributaria s’attesta sul 21,1. Persino in Francia, dove agli enti locali resta una quota fiscale anche inferiore a quella italiana epperò è la fiscalità generale, e non i contributi versati dai lavoratori, a sostenere poi il sistema previdenziale persino in Francia la pressione tributaria sui cittadini si mantiene sul 26,6 per cento. Dunque inferiore alla nostra.
Ragion per cui Giuseppe Bortolussi, che della Cgia è il segretario, rimarca che «solo trasferendo più competenze agli enti locali, lasciando a loro buona parte delle risorse erogate dai contribuenti, si potrà rispondere meglio alle esigenze di questi ultimi. Rendendo inoltre gli amministratori locali più responsabili e virtuosi e abbassando la pressione tributa-
ria». Un discorso che, giusto nelle scorse settimane, è stato rimarcato con forza da tanti sindaci del Nord. Che hanno protestato a Milano contro il cosiddetto Patto di Stabilità, quello che li costringe a limitare spese e investimenti nonostante abbiano disponibilità finanziarie, magari grazie a una gestione oculata. E la situazione rimanda naturalmente all’agognato federalismo fiscale: a giugno lo Commissione sul federalismo dovrebbe finalmente presentare lo schema di ridistribuzione finanziaria fra Stato e autonomie periferiche. Mentre i famosi decreti attuativi potrebbero essere pronti per l’autunno prossimo. Epperò è anche vero ciò che sostiene Alessandro Cosimi, sindaco di Livorno ed esponente dell’Associazione nazionale comuni, quando nel commentare la ricerca Cgia parla di «assenza completa di cultura federalista nel Paese: si potrà fare anche una legge sul federalismo, ma se non vi si adeguano anche tutte le altre legislazioni di settore, i benefìci non si sentiranno».
In questo senso, un paio di esempi sono utili a comprendere la situazione attuale. Le tasse sulla casa, per esempio, che più ”locali” di queste non ce ne dovrebbero essere. E invece, i dati illustrati un paio di mesi fa dal direttore del dipartimento per le Politiche fiscali del ministero dell’Economia, Fabrizia Lapecorella, sono indicativi. Il gettito proveniente per l’appunto dalle imposte sulla casa è di complessivi 43,1 miliardi: di questi, il 63 per cento è relativo a imposte erariali, cioè disposte dallo Stato centrale (e dunque Irpef, Iva, Imposta di registro e via dicendo), mentre solo il 37 per cento è di competenza delle istituzioni locali (soprattutto Ici e Tarsu).
LAVORO TARTASSATO
Altro discorso epperò questo riguarda l’assurda tassazione complessiva italica è quello relativo alle imposte sul lavoro. Anche se anche in questo caso ci sta la considerazione sulla ridistribuzione fiscale: l’attività delle imprese è ovviamente la linfa stessa delle economie locali, questo è ovvio, ma la parossistica tassazione cui sono sottoposte le buste paga è voce fondamentale dell’Erario statale, e anche in questo caso solo le briciole restano in loco. Tassazione parossistica, dicevamo: un’inchiesta del sito ilsussidiario.net riporta le conclusioni di una pubblicazione Eurostat, ”Taxation trends in the European Union”. Ebbene, la fiscalità complessiva vale a dire a carico sia del datore di lavoro, sia del dipendente e anche l’imposta personale ha pesato nel 2007 in Italia per il 44 per cento del costo del lavoro sostenuto dalle imprese stesse. Come dire che, su 100 euro di costi sostenuti dalle imprese, solo 56 finiscono davvero nelle tasche del lavoratore, ben 10 euro in meno della media dei Paesi dell’area euro.
Un’ultima cosa. Considerando non solo la pressione tributaria, ma quella fiscale complessiva contributi previdenziali compresi -, questa ha raggiunto nel 2009 il livello record del 43,2 per cento: significa tre punti percentuali in più rispetto alla media dei Paesi che adottano l’euro. E tra i Paesi europei ad elevata pressione fiscale, soltanto l’Italia l’ha vista crescere negli ultimi dieci anni, a dispetto dei tanti annunci anche dei governi di centrodestra. Peraltro non certo a fronte di un miglioramento dei pubblici servizi.
C’è chi dice che il federalismo fiscale sia una iattura, che peggiorerà la situazione. In tutta onestà, peggio di così pare difficile.