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 2010  aprile 22 Giovedì calendario

IMMIGRATI E BIOETICA ANTI-CAV DIVISI IN PARTENZA

Non è passato molto tempo. Era il 5 febbraio 2009, poco più di un anno fa. I giorni del braccio di ferro fra il governo di Silvio Berlusconi e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano sul caso di Eluana Englaro. Maggioranza compatta nel cercare di salvare la vita di Eluana e impedire di staccare la spina. Salvo il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che accusò esplicitamente il governo di «grave errore». Erano ore di tensione. Davanti a palazzo Chigi passarono due autorevoli esponenti di An. Il primo era il ministro delle Politiche Ue, Andrea Ronchi. Disse: «non so perché Gianfranco si è intestardito. Noi non lo seguiamo». Il secondo era il capogruppo di An alla Camera dei deputati, Italo Bocchino: «quella di Fini è una posizione assolutamente personale, il 90% dei deputati di Anme compreso non è disposto a seguirlo ed è invece disposto a votare quel decreto legge». Le dichiarazioni furono pubblicate, ed esiste ancora la registrazione audio di quel breve colloquio. Più o meno le stesse parole e la stessa divergenza di idee si era registrata qualche anno prima quando Fini seguì una per lui anomala linea solitaria votando a favore del referendum sulla procreazione assistita. Non è cambiata la realtà. Proprio su uno dei due grandi temi programmatici della possibile corrente Fini, quello sulla bioetica, più di 30 dei 52 che hanno mostrato al presidente della Camera vicinanza, non la pensa come lui. Sono cattolici, e molto vicini alle gerarchie ecclesiastiche che per loro contano più del leader della possibile corrente.
L’altro grande tema su cui Fini si è pubblicamente differenziato è quello dell’immigrazione. Uno dei suoi fedelissimi, Adolfo Urso, si è spinto addirittura più in là, allargando ai diritti civili in senso lato, patrimonio delle battaglie dei radicali (tra cui le unioni gay). Su questo non si troverebbero almeno una quarantina di quei 52 ”finiani”. Anche qui uno come Bocchino non si spingerebbe al di là del riconoscimento che anche i gay sono persone come tutte le altre, rivendicando come ha fatto che a Napoli «i femminielli votano a destra». Ma che la famiglia sia quella fondata sul diritto naturale e composta da uomo e donna è fuori discussione e contenuto nei manifesti programmatici della maggioranza di quei 52. Chiedetelo a un altro colonnello finiano come Agostino Ghiglia, il torinese che ha tuonato più della Lega contro Sergio Chiamparino che sceneggiava un matrimonio fra due lesbiche. Quanto ai diritti civili e politici, Ghiglia è uno dal pugno di ferro: celebri le sue battaglie locali contro i centri sociali e contro l’invasione degli immigrati irregolari verso cui ha sempre tuonato: ”tolleranza zero”. Anzi, lui per mandare a scuola gli stranieri imponeva il test di italiano. Se l’è presa con il comune di Torino che dava sussidi ai ragazzi rom e ha fatto una battaglia personale sul caso della Clinica San Paolo, dove immigrati che avevano ottenuto lo status di rifugiati si ubriacavano la sera alzando talvolta le mani. Poi ha infilzato pubblicamente il procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli, che ha messo in discussione la legge del governo che introduceva il reato di immigrazione clandestina. Battaglie da pasdaran che nemmeno Mauro Borghezio fa più, altro che Lega. Non così diversi gli atteggiamenti di Roberto Menia, finiano del Friuli. Scorrendo proposte di legge e dichiarazioni sui propri siti, dei 52 almeno 25 sono assai lontani dalla linea del leader. E allora la corrente su che diversità si fonda? Sui rapporti di potere? Sugli incarichi di partito? Sulla corrente stessa come prova muscolare con gli altri? Impossibile. Parola di Bocchino, in un’intervista del 21 marzo 2009 a Emilio Gioventù: «Che bisogno c’è di fare una corrente? Io sono legato a Fabrizio Cicchitto più che a molti dirigenti di An. Per quale ragione devo fare una corrente di quelli di An dentro il PdL? Anzi, se devo creare un collegamento lo creo fra le persone generazionalmente più vicine a me».