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 2010  aprile 22 Giovedì calendario

AGOSTINI

Giacomo 2007 - Brescia 16 giugno 1942. Ex motociclista. Campione del mondo della classe 500 nel 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72 (su M.V. Agusta) e 75 (su Yamaha); campione del mondo della classe 350 nel 68, 69, 70, 71, 72, 73 (su M.V. Agusta) e 74 (su Yamaha), si è imposto in 123 Gran Premi. Esordio nel 61 alla Trento-Bondone su Morini Settebello 175 (2°). Con la 250 della casa bolognese debuttò nel Mondiale 63 a Monza (ritirato). Detiene il primato di vittorie consecutive nella stessa classe (20, nella 500), di vittorie nello stesso anno (19, nel 70). Ha tentato senza fortuna la carriera di pilota automobilistico, nel 78 in Formula 1, nel 79 in Formula Aurora (l’attuale Formula 3000). Da team manager ha conquistato tre Mondiali 500 • Famiglia agiata, padre segretario comunale a Cividate Camuno, a nove anni vinceva le gimcane negli oratori della Valcamonica. «Una Parilla 125 da fuoristrada. La mia prima vera motocicletta. Mi appostavo sui tracciati dove si allenavano i campioni del fuoristrada, poi mi mettevo alle loro spalle: loro aprivano il gas, ma non riuscivano a staccarmi. Si stupivano, mi chiedevano chi fossi. ”Agostini Giacomo, posso seguirvi ancora?”. E li bastonavo. Avevano moto più potenti della mia e io ero un ragazzino di nemmeno 14 anni, però non riuscivano a staccarmi» • Diventato professionista, gestì sempre da solo i propri interessi. «Qualche volta fu problematico, come quando dovetti dimettermi dalla Morini per passare alla MV, a fine 64. Ero in profondo imbarazzo davanti al commendator Morini che cercava di convincermi a restare con loro. Teneva in mano il blocchetto degli assegni, mi abbracciava, mi chiedeva incredulo se veramente volevo andare via. Io avevo un groppo alla gola nel ”tradire” chi mi aveva dato la possibilità di emergere. Ma volevo assolutamente partecipare e vincere nel Mondiale. E con la Morini non sarebbe stato possibile» • «Con il conte Domenico Agusta la trattativa non poteva durare più di tanto: qualche volta mi ha pure cacciato fuori da Cascina Costa...» • «Al rigore professionale ha saputo integrare il senso dell’innovazione tecnica e un fiuto per gli affari che all’epoca, e in un ambiente molto chiuso, risultavano ancora del tutto nuovi. Avendo compreso primo fra tutti l’importanza della sponsorizzazione, facendo pubblicità con il proprio abbigliamento avrebbe fatto fortuna, riuscendo anche a investire bene il proprio denaro» (Jean Boully) • «Tourist Trophy, 1967. Sei giri dell’Isola di Man, 364 chilometri in moto a una media di 170 l’ora in mezzo alle case, ai pali della luce, ai muretti dei giardini. Io sono davanti, con la Mv Agusta 500. Mike Hailwood dietro di me, con la Honda. Poi altri cinque inglesi. Li stavo battendo in casa loro, una rivoluzione. Avevo la schiena nera di fango, così Hailwood. E avevo la spalla destra bianca, ogni curva sfioravo l’intonaco delle case. Sono arrivato a cinque chilometri dal traguardo in testa: 359 chilometri sempre davanti a tutti. Come andare da Roma a Bologna, più o meno. Un dosso e si spacca la catena. Hailwood vince e la sera viene a cercarmi: vuole festeggiare con me. Mi ha riconosciuto la vittoria morale e ancora oggi penso a quel giorno come a una vittoria» • «Per fortuna ho avuto pochi incidenti: la clavicola fratturata ad Anderstop nel 1974, che mi costò il titolo, la scivolata a Misano in allenamento nel 1973. Ebbi un muscolo lesionato, fu necessario un piccolo trapianto. Ma il volo più pauroso fu al Sachsenring: fuori a 200 orari in una scarpata. Fui fortunato a fratturarmi solo il setto nasale» • Non era ben visto da tutti. L’inglese Phil Read: «Come pilota è fantastico, in anticipo rispetto ai tempi, ma come uomo non riesco ad apprezzarlo. Spingere la brama di vincere fino al punto di ignorare ogni altra cosa, tutto ciò che fa parte della vita, significa nascondere il vuoto sotto una maschera d’oro…» • Valentino Rossi è grande come Giacomo Agostini? « il Giacomo Agostini del Duemila, questo sì. Per dire altre cose bisognerebbe risuscitare i piloti morti, ringiovanire i vecchi e correre tutti insieme. E poi sono cambiate troppe condizioni. Io vincevo in 350, scendevo dalla moto con le mani sanguinanti, risalivo in 500 e vincevo. Non è roba da poco» • «I campioni sono fatti così, hanno qualcosa alle loro spalle, forse Dio. Se non c’è la fortuna non fai niente. Non credevo al destino, mi sono dovuto arrendere. Quando correvo, è capitato spesso, tagliavo il traguardo e il motore grippava. Dopo il traguardo» • «Alla fine degli anni Settanta sentii l’attrazione dell’automobilismo e disputai diverse corse in quella che si chiamava Formula Aurora, la F.3000 attuale. Fu un’esperienza poco positiva, forse non avevo una buona vettura, forse non ero abbastanza bravo. O magari ero anche troppo vecchio per iniziare da capo, quasi quarantenne».