Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 22 Giovedì calendario

Overbeck, l’unico amico fidato, e a lei particolarmente caro, in quanto professore di Teologia, ha portato via da Torino l’ammalato di nervi; a lei, alla madre soltanto vuol affidare il demente, perché lo porti nella tomba dei vivi, al manicomio

Overbeck, l’unico amico fidato, e a lei particolarmente caro, in quanto professore di Teologia, ha portato via da Torino l’ammalato di nervi; a lei, alla madre soltanto vuol affidare il demente, perché lo porti nella tomba dei vivi, al manicomio. […] Intontito da forti dosi di Chloral, accompagnato, perdipiù, da un medico e da un infermiere del manicomio, Nietzsche, ammalato, verrà infine caricato su un vagone. E a questo punto comincia il suo viaggio nella notte eterna, e comincia pure il racconto della madre nelle lettere a Overbeck, uno dei documenti più commoventi nella storia dello spirito (apparse nel 1937 nei tipi della Bermann-Fisher Verlag, Vienna, col titolo Der kranke Nietzsche). ”Nietzsche malato”, opera mai pubblicata in Italia. Come l’albatro di Baudelaire, che prima solcava l’aria, libero e padrone di sé, e ora ha le ali spezzate, Nietzsche è diventato lo zimbello dei ragazzini, il rozzo passatempo degli infermieri. (’Qualche volta striscia carponi”, dice in dialetto sassone quel buontempone del suo compagno di cella). Nietzsche ha accessi di furore spaventosi e i medici esitano a lungo prima di affidarlo alle cure della madre. Dal 1891 sarà la madre a prendersi cura di lui. Per intrattenerlo, lei gli recita continuamente poesie, che lui, ottuso, sta a sentire; volutamente, lo dirige lontano dalle persone, che lo fissano incuriosite, e dai cavalli, che lui detesta. (’Io non tremo i cavalli”, dice sempre, invece di: ”Io temo i cavalli”). Lo mette seduto al pianoforte, e così quell’uomo dallo spirito assente se ne sta là seduto per ore, improvvisando a vuoto, e lei lo lascia fare, tranne quando suona Wagner, perché sa che Amfortas gli scuote sempre i nervi. Cessano gli scoppi d’ira: il cratere ha finito di bruciare. Apatico, sta seduto o sdraiato in veranda: ”In un mese non dice neanche una frase, pure fisicamente è tutto rattrappito, a guardarlo fa venir voglia di piangere”. Non riconosce più nessuno; come un leone morente, maestoso, ancora in grado di far paura, fissa amici e parenti con occhi sprezzanti. Zweig, Stefan - *Uomini e destini / Stefan Zweig ; traduzione di Cinzia Romani- Milano : Frassinelli, 1993- XI, 250 p.