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 2010  aprile 21 Mercoledì calendario

DOMANDE E RISPOSTE: PERCHE’ COSI’ TANTE FRANE IN ITALIA?

La frana a Ventotene, in cui sono morte due ragazze, è l’ultima tragedia causata dal dissesto idrogeologico. Quanto è grave la situazione in Italia?
L’Italia è quasi totalmente a rischio idrogeologico a causa di cementificazione, condoni edilizi, burocrazia, speculazioni, consumo del territorio e devastazione del paesaggio. Stando a un dossier presentato recentemente da Legambiente, 5581 Comuni - il 70% del totale - sono a rischio elevato. Il 100% del territorio di Calabria, Umbria e Valle d’Aosta è in analoga condizione, nelle Marche il 99% e in Toscana il 98.
Sono dati conosciuti?
Certo, sono dati pubblici. L’indagine «Ecosistema rischio», che è stata presentata dal capo della Protezione civile Guido Bertolaso pochi mesi fa, contiene la classifica dei Comuni a rischio inondazione, l’elenco dei pericoli per gli abitanti, il conteggio ufficiale dei ritardi imputabili a governatori e sindaci. Si legge ad esempio che la Sicilia è ultima nella graduatoria della prevenzione, con l’8% di interventi per mitigare l’allarme idrogeologico.
Quali sono i Comuni più a rischio?
In Sicilia il 93% dei Comuni sono in zone a rischio, nella lista nera segue la Toscana (91%). In Sardegna c’è la maggior percentuale di Comuni con interi quartieri costruiti in zone a rischio, mentre in Sicilia e Toscana si segnala anche il più elevato numero di Comuni con insediamenti industriali e produttivi in aree esposte a rischio idrogeologico.
Cosa si fa per prevenire frane e tragedie?
Poco o nulla: fango e morte possono colpire dovunque, in montagna o in pianura, nelle metropoli o nei piccoli paesi della pedemontana. Molti sindaci si dichiarano impotenti e quando piove vegliano. Le vittime di Giampilieri, così come quelle dell’alluvione di Messina possono capitare quasi ovunque, in Italia.
Non si eseguono opere di «messa in sicurezza»?
Spesso proprio quelle si trasformano in alibi per continuare a costruire. Molti cantieri, spacciati dalle amministrazioni locali per «manutenzione dei bacini» coprono le speculazioni edilizie lungo fiumi e torrenti. Così basta un po’ di pioggia per causare allagamenti e provocare vittime e danni rilevanti. La gestione delle acque piovane è uno dei grandi problemi ambientali, anche in città. Sarebbe necessario adeguare le reti di raccolta dell’acqua, coniugando sicurezza e recupero della risorsa idrica.
I corsi d’acqua dovrebbero essere «sorvegliati speciali»?
Sì, prima di tutto torrenti e fiumare. Governo e amministrazioni locali dovrebbero dedicare grande attenzione all’immenso reticolo di corsi d’acqua minori: recentemente proprio in prossimità di fiumare e torrenti si sono verificati gli eventi peggiori e sono stati compiuti gli scempi più gravi. E’ rischiosissimo costruire nelle aree di esondazione dei corsi d’acqua, e sui versanti franosi e instabili.
Cos’altro si dovrebbe fare?
Ogni Regione dovrebbe adeguare le mappe di rischio idrogeologico, pianificando la lotta dura contro gli illeciti ambientali, demolendo gli immobili abusivi, delocalizzando rapidamente i beni esposti al pericolo di frane e alluvioni, costruendo edifici che tengano conto del livello e della tipologia di rischio presente sul territorio.
Quanti sono i danni di questa politica devastatrice?
Dal disastro di Sarno ad oggi, i morti sono stati oltre 300 e i danni causati dall’acqua ammontano a una decina di miliardi di euro. In Italia dovrebbero essere svuotati da abitazioni, insediamenti produttivi, attività agricole circa 30 mila chilometri quadrati, se si volessero scongiurare altre Messina. un’area vasta quanto Lombardia e Liguria insieme, e sempre più in emergenza man mano che aumenta l’intensità delle piogge, cresciuta del 5% nell’ultimo secolo.
Occorre dare più spazio alla natura, anche in Italia?
Sì, occorre ridare spazio al verde, ai boschi e agli alberi che stabilizzano il terreno: bisogna lottare contro gli incendi, ad esempio, in molti casi il disboscamento dei versanti causato dagli incendi può aggravare il rischio di frana di un versante. Occorre restituire al territorio lo spazio necessario per i corsi d’acqua, per le aree che permettono un’esondazione diffusa e controllata, bisogna creare e rispettare le «fasce di pertinenza fluviale», usando correttamente il suolo.
Ma il rischio ci sarà sempre, la natura non si controlla completamente.
Sì, ma si può e si deve convivere con il rischio, cioè applicare una politica attiva, integrata tra i diversi livelli istituzionali con sistemi di allerta, previsione delle piene e piani di protezione civile aggiornati, testati e conosciuti dalla popolazione.