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 2010  aprile 21 Mercoledì calendario

ISRAELE NON VUOLE LA PACE

«Le minacce contro il Libano aumentano, e gli ostacoli alla pace cresceranno ogni giorno in cui non saremo capaci di ottenere la fine di un conflitto che dura da 63 anni». E’ il messaggio che Saad Hariri - premier libanese dal 2009, costruttore miliardario ed erede di una fra le più potenti dinastie della regione - ha portato agli ospiti italiani nelle 24 ore del suo soggiorno romano, durante il quale ha festeggiato i 40 anni: Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi (che gli ha garantito di mantenere le truppe italiane in ambito Unifil), Gianfranco Fini, Renato Schifani e Piero Fassino, responsabile Pd per la politica estera.
Lei accusa Israele di preparare un’altra guerra contro il Libano, ma Israele accusa il Libano di tollerare il riarmo di Hezbollah, il «partito di Dio» la cui ala militare è considerata terrorista da buona parte della comunità internazionale. L’intelligence israeliana sostiene che armi iraniane arrivano attraverso la Siria e, di recente, anche i potenti missili Scud sono stati forniti direttamente da Damasco.
«Queste accuse ricordano quel che si disse delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein: non sono mai state trovate, non esistevano. Israele sta tentando di riprodurre lo stesso scenario per il Libano. Le voci sugli Scud sono soltanto un pretesto per minacciare il mio Paese».
Sta dicendo che in Libano non arrivano armi dall’esterno?
«No, dico che le accuse di Israele sugli Scud sono false. Perchè non consideriamo piuttosto l’atteggiamento di Israele nei confronti del processo di pace? Rema contro. Un giorno concorda con gli Stati Uniti sulla necessità dei ”proximity talks” (negoziati indiretti, ndr), il giorno dopo si tira indietro e aumenta gli insediamenti nei territori occupati. Il problema vero è che Israele non vuole dare ai palestinesi la terra nè riconoscere la soluzione dei due Stati. Israele deve prendere una decisione storica: rendersi conto che la soluzione del conflitto è politica».
Armi agli Hezbollah significa rafforzare il potere e la sfida degli sciiti finanziati dall’Iran. Una minaccia per lei, sunnita, e il suo governo. Non pensa di disarmarli?
«Sì, ma attraverso il dialogo fra libanesi. Non si tratta però solo di disarmo, ma di reciproca comprensione: il Libano è un Paese diviso politicamente e confessionalmente, e solo col dialogo le conseguenze di queste divisioni saranno superate. Hezbollah ha vinto le elezioni nel Sud, si è conquistata una credibilità popolare: la democrazia è anche questo. Possiamo non essere d’accordo su strategie e politica, ma la soluzione è soltanto nel dialogo».
Sui rapporti con la Siria continua a pesare l’assassinio di suo padre Rafiq, nel 2005.
«Un tribunale internazionale cerca di chiarirne le circostanze. Lasciamolo lavorare. Con la Siria abbiamo aperto una nuova pagina: io e Assad abbiamo deciso di lavorare insieme per migliorare le nostre relazioni nel rispetto della reciproca sovranità. Certo non ci si può aspettare che tutto cambi con un incontro, ma credo che ce la faremo».
Come voterete sulle sanzioni all’Iran?
«Ne discuteremo con la Lega araba. Ma qual è il vero problema? L’Iran sta cercando di sviluppare un programma nucleare, e forse non c’è chiarezza in proposito. Ma Israele ha oltre 200 testate atomiche, e si è rifiutato di andare a Washington alla conferenza sulla sicurezza nucleare».
Israele non ha mai minacciato di cancellare un altro Paese dalle carte geografiche, come ha fatto invece l’Iran di Ahmadinejad.
«Netanyahu ha detto che in un prossimo conflitto contro il Libano distruggerà tutte le infrastrutture, l’intero governo, l’esercito. Non c’è molta differenza con quanto ha detto Ahmadinejad su Israele».
L’Italia è il secondo partner commerciale del Libano dopo la Cina, ma il livello degli investimenti è molto basso. La Sace, che assicura gli investimenti italiani nel mondo, attribuisce al Libano il più alto livello di rischio, il 7°, a causa di un’instabilità che perdura nonostante il governo di unità nazionale che lei guida dal novembre scorso.
«Negli ultimi tre anni siamo cresciuti dell’8% e il debito è sceso del 40%. Siamo instabili politicamente ma la nostra economia è molto dinamica. Le imprese italiane vengano in Libano: il nostro è un Paese molto sexy dal punto di vista degli investimenti».