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 2010  aprile 20 Martedì calendario

L’ANTIPATICA BONGIORNO E GLI STOP SULLA CORRUZIONE

Intercettazioni e prescrizione breve: è su questi due fronti che la finiana Giulia Bongiorno si è "guadagnata" l’antipatia di Silvio Berlusconi («crea sempre dei problemi», «levatemela dai piedi»). Nell’uno e nell’altro caso, la presidente della commissione giustizia della Camera, alter ego di Gianfranco Fini sulla giustizia, ha mandato in fumo i programmi del presidente del Consiglio: lui spingeva per soluzioni radicali che tenessero fuori dalle intercettazioni il reato di corruzione; lei gli rispondeva che il malaffare non viene a galla senza le registrazioni; lui insisteva per azzerare con la «prescrizione breve» migliaia di processi, anche sulla corruzione, lei replicava che sarebbe stata un’amnistia mascherata. Il pomo della discordia era sempre lo stesso: il reato di corruzione.
Due date, in particolare, hanno segnato il rapporto tra B e B, e misurato la loro distanza: il 21 gennaio 2009 e il 10 novembre dello stesso anno. In entrambe le occasioni, il premier capì che l’avvocato Bongiorno sarebbe diventato la sua spina nel fianco. E con lei il presidente della Camera Gianfranco Fini.
Le cronache ricordano che il 21 gennaio 2009, durante una cena- vertice a palazzo Grazioli, si chiuse il braccio di ferro sull’esclusione o meno della corruzione dalla lista dei reati intercettabili. Prima della presentazione del Ddl Alfano, la Bongiorno aveva concordato con Niccolò Ghedini, consigliere giuridico del premier, una formula che non escludesse i reati contro la pubblica amministrazione (almeno quelli più gravi); ma subito dopo il varo del provvedimento, ricominciò il pressing di Berlusconi per far rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta. Doveva però superare l’ostacolo di Fini. Il 22 gennaio il premier si trovò di fronte la Bongiorno, che puntò i piedi sulla lista dei reati intercettabili, evitandoche Berlusconi sfilasse corruzione e concussione. Ebbe la meglio (la lista, anzi, si allungò), anche se Berlusconi fece ingoiare a Fini una durata degli ascolti «limitata nel tempo» e, soprattutto, i «gravi indizi di colpevolezza », poi divenuti «evidenti» (ma destinati a tornare, in quest’ultimo giro di boa al Senato, «gravi indizi di reato»).
L’ulteriore dispiacere dato al Cavaliere fu quando la Bongiorno, in una lettera al presidente dell’ordine dei giornalisti, annunciò che «un divieto totale di pubblicazione di atti giudiziari fino alla conclusione delle indagini o fino al termine dell’udienza preliminare» avrebbe «azzerato qualsiasi forma di conoscenza nelle prime fasi dell’attività giudiziaria relativa a delitti di grave allarme sociale». E dunque preannunciò alcune correzioni poi inserite al testo per attenuare il «bavaglio alla stampa».
Ma lo scontro più forte tra Be B si consumò a Montecitorio il 10 novembre 2009,all’indomani della bocciatura del Lodo Alfano da parte della Consulta. La presidente della commissione Giustizia affiancava Fini in quel faccia a faccia, uno dei più tesi che abbia avuto con il premier, a sua volta affiancato da Ghedini. Era presente anche Gianni Letta. Berlusconi si presentò con due testi, uno sul «processo breve » e l’altro sulla «prescrizione breve» (taglio di 1/4 della prescrizione per i reati puniti con non più di 10 anni commessi prima di maggio 2006). Il premier li voleva entrambi, in particolare il secondo, che avrebbe chiuso una volta per tutte i suoi processi in corso. Il Quirinale era in allarme, perché si prospettava la morte di circa 600mila processi. La Bongiorno obiettò a Berlusconi quello che in tanti, anche nel Pdl, pensavano ma non dicevano: sarebbe stata un’amnistia. E per di più, con dentro la corruzione. Come spiegarla agli Italiani? Fini fece muro: «Danneggerebbe i cittadini. Non si può fare». E il cavaliere incassò "soltanto" il «processo breve». Che però, dopo l’approvazione del Senato, è rimasto bloccato in commissione giustizia alla Camera.