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 2010  aprile 20 Martedì calendario

ALLA FINE ALLA DIVISIONE SI ARRIVERA’

Che non fosse un ultimatum, ma un penultimatum, s’era capito fin dall’inizio. Che la scissione non fosse scontata, pure. Ma che i finiani possano ora salutare come una vittoria la nascita e il riconoscimento della loro corrente come una minoranza interna del Pdl, che magari tra un po’ potrà puntare a una vicesegreteria o a esprimere un quarto coordinatore, francamente è un po’ troppo. Liberi loro - un po’ meno il loro leader - di crederci, come hanno creduto finora alla trasformazione del «partito del predellino» fondato dal Cavaliere a Piazza San Babila, in un «normale» partito in cui la linea viene discussa e stabilita negli organi dirigenti e poi affidata al leader pro-tempore, che ogni due tre anni ne risponde al congresso, in cui solitamente passa la mano.
Le minoranze, al plurale, avevano una grande importanza nella Dc. Uno come Donat-Cattin, per dire, che aveva una corrente del 5 per cento, era stato capace di ribaltare con il suo famoso «preambolo» l’esito del congresso che pose fine all’alleanza con i comunisti e ricreò la maggioranza delimitata chiusa al Pci. Nel grande partitone cattolico questo era possibile perché, oltre alle minoranze dichiarate, c’erano quelle occulte e allineate nelle correnti di maggioranza. Le une e le altre erano legate da un tacito patto che prevedeva la lenta consunzione della leadership e un successivo rimescolamento interno che doveva ripercuotersi nei posti al governo.
Un siffatto meccanismo, che pure rimase alla base della democrazia italiana per quasi cinquant’anni, era connaturato a un Paese in cui il confine tra partiti di governo e opposizione era invalicabile e il ruolo degli uni e degli altri prestabilito. Ma è davvero arduo immaginarsi oggi che tutto è cambiato, Berlusconi alle prese con un «preambolo», e sarà anche curioso assistere alle sue reazioni quando giovedì le diverse fazioni in campo si confronteranno, taglia qui, aggiungi là, per cercare fino all’ultimo di mettere insieme un documento unitario ed evitare la divisione del partito in maggioranza e minoranza.
Una divisione alla quale alla fine forse si arriverà lo stesso perché altrimenti non si capirebbe perché Fini abbia voluto aprire un solco così profondo con il suo cofondatore, salvo poi rassegnarsi in pochi giorni a una ritirata, che i suoi fedelissimi, basandosi proprio sulle frasette che saranno riusciti a inserire nel documento, cercheranno di far passare come una vittoria o un pareggio in un partito in cui le parole non sono mai pietre e Berlusconi, finché esiste, continuerà a comandare.