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 2010  aprile 20 Martedì calendario

BERLUSCONI, FINI E LE CORRENTI (2

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Problema numero uno: nella Direzione nazionale di giovedì, quando si decideranno i destini del Pdl, chi parlerà per primo, Berlusconi o Fini? Il Cavaliere vuol tirare le conclusioni, e già prepara un discorso con cui ribattere alle critiche dell’avversario (il nostro è un partito democratico, dirà Silvio, la politica di Tremonti ci ha salvati, quanto a Bossi «che Dio ce lo conservi, rimane il nostro unico alleato»). Ma per replicare a Fini, occorre che Gianfranco abbia già calato le carte. Invece il presidente della Camera pare intenzionato a pronunciarsi solo dopo avere ascoltato la relazione del premier (e impallinarlo a dovere). Trattative dietro le quinte. L’ipotesi più plausibile è che Berlusconi dica due parole all’inizio, ceda il microfono ai triumviri, ascolti Gianfranco e lo rimbecchi alla fine.
Non aspettiamoci grandi coreografie. Regista politico è Verdini, uno che bada al sodo. L’Auditorium in via della Conciliazione sarà sobrio, niente maxi-schermi o fondali azzurrini, giusto una tribuna per gli oratori e il tavolo della presidenza. In sala, 585 dignitari, ciascuno munito di cartellino: rosso per i 171 membri di diritto, verde per i parlamentari invitati tra cui lo stesso Fini che (dato il ruolo istituzionale) della Direzione non fa parte. Dirà la sua, però senza diritto di voto. Il dettaglio non è da poco perché al termine si voterà su uno, due, magari tre ordini del giorno. Avremo una maggioranza e un’opposizione, addirittura la nascita di correnti dichiarate, e come tali riconosciute. Un’autentica rivoluzione, nel partito più leaderista d’Italia, al cui vertice si stanno valutando le conseguenze.
La novità al Cavaliere non piace punto. Tra Fini che se ne va dal partito e lo stesso Fini che gli organizza in casa il dissenso, Berlusconi preferirebbe la prima soluzione. Fanno testo gli sfoghi con gli amici fidati: «Ma vi pare che io possa spendere il mio tempo, anziché per governare l’Italia, nelle riunioni dove certi Signor Nessuno mi spiegano dove sbaglio e perché? Credete che il partito possa far parlare di sé per le polemiche dei vari Granata e Bocchino?». Visto con occhi finiani, si conferma nel premier una tendenza alla Kim Il-sung, indimenticato dittatore coreano. Nella prospettiva berlusconiana, invece, è la fronda finiana che riproduce i guasti della prima Repubblica nel tentativo di scavargli il terreno sotto i piedi, catalizzando (teme Osvaldo Napoli) l’esercito degli scontenti.
La contromossa del premier consisterà nel dire alto e forte: democrazia va bene, ma fino in fondo. Per cui chi è in minoranza, cioè Fini, si adegui e non faccia scherzi in Parlamento. L’ha anticipato da Vespa: «Ritorni al passato, quando in alcune nostre componenti c’era un leader che decideva tutto, non sono possibili. Non si può più prescindere dal sistema di decisioni democratiche che abbiamo adottato...». Se Fini e i suoi non ci vorranno stare, si metteranno automaticamente fuori del partito, a norma di statuto. Altra implicazione valutata dal premier: se si entrerà davvero nella logica correntizia, quella di Fini risulterà sovra-rappresentata tanto nel partito, quanto nel governo e nelle commissioni parlamentari. Dunque l’effetto pratico sarà di toglierle alcune poltrone. Sempre in nome della democrazia, si capisce.
UGO MAGRI

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Clicca sull immagine per ingrandirla Lo scontro durissimo non si sta consumando soltanto tra Fini e Berlusconi, ma all’interno dell’ex componente di An. A scendere in campo a fianco del premier c’è un «correntone lealista» che ha preparato un documento che sarà presentato alla direzione di giovedì. Un documento tenuto segreto, concordato e sottoscritto da quattro pesi massimi di quello che una volta era l’esercito di Fini: Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri, Altero Matteoli e Gianni Alemanno. La mossa serve per dimostrare che l’ex «padre padrone» di An non rappresenta più il 30% del Pdl come è stato stabilito nel patto fondativo del partito. Se giovedì prossimo la terza carica dello Stato vorrà contarsi, avrà una sgradita sorpresa: dovrà fare i conti con i suoi ex colonnelli, rischiando di essere una minoranza ancora più piccola rispetto a questo «correntone». Per evitare la brutta figura di rappresentare il 10-15% del Pdl, allora Fini dovrebbe deporre le armi.
E’ questo il ragionamento che è stato fatto in questo fine settimana da La Russa, Gasparri, Matteoli e Alemanno che contano di portare dalla loro parte oltre 100 parlamentari (contro i 40-50 finiani: questi sono i loro calcoli), sulla base di un documento scritto sulla falsariga di quello firmato ieri a Milano da 18 ex deputati e senatori di An eletti nel Nord Ovest. Viene sottolineato che il Pdl è una scelta irreversibile, che occorre rafforzarlo al suo interno. E’ giusta l’esigenza di affermare il primato rispetto alla Lega, ma gli atteggiamenti e le posizioni di Fini su una serie di argomenti come l’immigrazione e la cittadinanza sono sbagliati. Spiega Massimo Corsaro, uno degli animatori dell’incontro milanese: «Abbiamo fatto miracoli al Nord per confermare il Pdl come primo partito. Ma a due giorni dal voto Fini è venuto a Milano per dire ad un convegno di Famiglia Cristiana che bisogna dare la cittadinanza veloce agli immigrati, regalando voti alla Lega». Per La Russa, con la firma del documento «abbiamo fatto una scelta politica che speriamo sia fatta da tutti, compreso Fini e i finiani, una scelta contraria a ogni frattura nel Pdl. Rompere il Pdl sarebbe un vantaggio per l’opposizione e la Lega». Anche il «correntone ex An» vede dei limiti nel partito, ma bisogna riconoscere il successo del governo e della maggioranza in tutti i passaggi elettorali.
Ecco, allora, con chi Fini dovrà fare i conti. Non soltanto con Berlusconi che non sopporta il gioco dei professionisti della politica come il presidente della Camera che a suo avviso ha bisogno di avere «una sua aziendina del 4%». Ma più che un partitino o al gruppo autonomo, Fini punta al riconoscimento di una sua componente interna, di una linea e strategia alternativa al Cavaliere. Quanti lo seguiranno si capirà oggi quando a Montecitorio si riuniranno i parlamentari a lui fedeli. Il suo intento, dicono i finiani, è di rafforzare il Pdl e non di destabilizzarlo. Nessuna crisi di governo, nessun tradimento della volontà degli elettori, ma occorre cambiare rotta. «E non saranno altri a rappresentarci». Gli altri sarebbero il coordinatore La Russa e il capogruppo Gasparri. I quali, spiega Flavia Perina, direttrice del Secolo d’Italia, stanno mettendo in campo la contromossa proprio per difendersi e non perdere le loro posizioni. Vogliono essere loro a rappresentare il 30% dell’ex An, dicono i finiani, ma lo schema del patto fondativo è saltato. Contano di avere una quarantina di deputati e una ventina di senatori, che si riuniranno oggi alla Camera per firmare un documento da portare in direzione. Ma la deflagrazione del mondo che viene da An è in pieno movimento. Nascono altre iniziative con l’obiettivo di rappresentare i temi e la cultura delle destra dentro il Popolo della libertà, come quella Domenico Nania che ha lanciato «DestraPdl».
AMEDEO LA MATTINA