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 2010  aprile 20 Martedì calendario

BLANKFEIN SOTTO ASSEDIO E C’E’ CHI INVOCA BUFFETT

La Goldman Sachs continua a difendersi con vigore dall’accusa della Sec, l’«authority» dei mercati azionari, di aver frodato i suoi clienti e fa quadrato a difesa del suo presidente e amministratore delegato Lloyd Blankfein. Confortata, in questo, anche dall’indiscrezione secondo cui l’«authority» borsistica non avrebbe deciso l’incriminazione della banca all’unanimità, ma con un voto a maggioranza (3 contro 2) con i commissari di estrazione repubblicana contrari al provvedimento.
L’istituto può sperare che si alzi, attorno alla vicenda, un polverone politico, visto che da destra già piovono le accuse a Obama di voler usare strumentalmente il caso Goldman per promuovere la sua riforma finanziaria. Intanto, però, davanti agli occhi degli azionisti comincia a materializzarsi lo spettro di una prolungata guerra di trincea destinata a durare fino a quando non arriverà la sentenza sul caso Sec-Goldman, appena assegnato al giudice distrettuale di New York Barbara Jones (quella che nel 2005 ha condannato Bernard Ebbers a 25 anni di carcere per lo scandalo WorldCom). Un assedio che potrebbe costare molto al gruppo bancario in termini di distruzione di valore. Dopo aver fatto registrare, venerdì scorso, una flessione del 13% (12 miliardi di dollari di capitalizzazione bruciati in poche ore), ieri il titolo aveva aperto in ulteriore ribasso, salvo recuperare nel pomeriggio sulla notizia del voto non unanime della Sec (chiusura a +1,57%).
Quella di oggi sarà un’altra giornata campale, con la Goldman che fornirà al mercato, a ridosso della chiusura della Borsa, i suoi risultati dei primi tre mesi del 2010. Ieri molti investitori si chiedevano se, vista la bufera che ha investito la più prestigiosa delle istituzioni finanziarie di Wall Street, alla «conference call» con gli analisti finanziari oggi non si presenterà lo stesso Blankfein, la cui posizione è ormai considerata pericolante da molti organi di stampa.
Furiosi per quello che considerano un attacco a sorpresa (anche se la Sec li aveva avvertiti fin dal luglio scorso dell’avvio del procedimento), i banchieri di Goldman non hanno davanti a sé scelte facili: se ammettono errori e fanno saltare qualche testa rischiano di essere travolti dalle richieste di indennizzo già allo studio da parte di banche e investitori che si sentono danneggiati dalle operazioni speculative messe sotto accusa dalla Sec. Se fanno quadrato per difendere la «fortezza Goldman» rischiano un progressivo dissanguamento: in mancanza di un segnale di svolta, qualcosa che faccia sperare nella fine dello stillicidio di cattive notizie che da molto tempo, ormai, piovono sull’istituto di Blankfein, difficilmente gli investitori torneranno a scommettere con convinzione sul suo futuro.
Il «numero uno» della banca, l’uomo dai modi gentili e dallo stile dialogante che la guida da quattro anni – cioè da quando Bush chiamò l’allora capo di Goldman, Henry Paulson, al Tesoro – fin qui è sopravvissuto senza troppi patemi d’animo ai diversi guai che hanno segnato la vita dell’istituto nel turbolento periodo della crisi finanziaria: dall’accusa di aver ottenuto da Bush e Paulson un trattamento privilegiato nel salvataggio pubblico dell’Aig, un gruppo assicurativo legato a doppio filo a Goldman, a quella di aver aiutato il governo a occultare parte del debito pubblico greco. Per non parlare della controversa vicenda dei «superbonus» ai dirigenti e dei profitti multimiliardari derivanti da attività puramente speculative.
Stavolta, però, le cose potrebbero andare diversamente: la Sec nel suo procedimento ha indicato come imputato solo un manager di seconda fila (l’ex vicepresidente Fabrice Tourre), ma ieri il «New York Times» ha pubblicato un’inchiesta nella quale otto ex dipendenti Goldman (i cui nomi non sono stati resi noti) affermano che l’attività della divisione dell’istituto che si occupava di mutui e gestione dei titoli immobiliari – quella «incriminata» – operava sotto lo stretto controllo dei massimi dirigenti di Goldman, Blankfein compreso, che spesso visitavano i suoi uffici, trattenendosi anche per diverse ore.
Blankfein – figlio di un postino, nato nel Bronx e cresciuto a Brooklyn, un avvocato formato ad Harvard divenuto poi «trader», un vero «duro» dietro la cortina dei modi gentili – può essere al capolinea? Molti stentano a crederlo: pensano che semmai potrebbero essere sacrificati il capo della finanza Viniar o il direttore generale Gary Cohn, uno che aveva responsabilità più dirette di supervisione dei mutui.
Ma gli analisti di Bahl & Gaynor’s ipotizzano uno scenario più suggestivo: il coinvolgimento diretto di Warren Buffett, azionista di primo piano di Goldman che già corse in suo soccorso a fine 2008, nel bel mezzo della bufera finanziaria. L’«oracolo di Omaha» potrebbe divenire «superconsigliere» di Blankfein o addirittura affiancarlo come presidente. Una carica non operativa ma che servirebbe a rassicurare il mercato, visto il grande prestigio di Buffett.
Massimo Gaggi