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 2010  aprile 20 Martedì calendario

E LA BONINO NON VA PIU’ IN REGIONE

«Bisogna saper perdere», cantava nel 1967 Shel Shapiro, il leader dei Rokes. Una regola di vita sacrosanta. Che dovrebbe valere non soltanto per gli spasimanti battuti dai rivali in amore, come in quel caso, ma anche per i politici in servizio permanente effettivo. Senza nessuna eccezione.
«Sono una che si occuperà del Lazio. Le nostre capacità di invenzione sono molte», aveva risposto Emma Bonino a chi dopo la sconfitta subita da Renata Polverini le chiedeva notizia sul suo prossimo futuro. Ma allo scomodo e piuttosto oscuro ruolo di esponente dell’opposizione nel consiglio regionale del Lazio la radicale protagonista di tante battaglie civili avrebbe ora preferito conservare lo scranno al Senato, dove ricopre l’incarico prestigioso di vicepresidente dell’assemblea. Una decisione fatta in perfetta coerenza con il suo movimento politico.
Due giorni fa il comitato nazionale dei radicali aveva addirittura diramato un comunicato ufficiale, annunciando di ritenere che «l’obiettivo del Lazio regione europea possa essere da Emma Bonino meglio assicurato mantenendo l’impegno istituzionale e nazionale di vicepresidente del Senato piuttosto che in consiglio regionale come consigliere di minoranza». Una spiegazione abbastanza incomprensibile che aveva tutta l’aria, non ce ne voglia la senatrice del Pd, di precostituire un alibi per la sua scelta.
Diciamo subito che ci sono illustri precedenti, tanto a destra quando a sinistra. Al Comune di Milano, per esempio, ancora si ricordano le polemiche seguite alle dimissioni dell’ex prefetto Bruno Ferrante, sconfitto nel 2006 da Letizia Moratti nella corsa alla poltrona di primo cittadino, che qualche mese più tardi abbandonò il consiglio comunale avendo ottenuto dal governo di Romano Prodi l’incarico di alto commissario contro la corruzione nella pubblica amministrazione. Per non parlare dei vari parlamentari che si sono presentati alle amministrative e poi, una volta perdute le elezioni, sono rimasti comodamente appesi al loro paracadute alla Camera o al Senato. Ma pochi, pochissimi sanno accettare la sconfitta...
Sergio Rizzo