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 2010  aprile 20 Martedì calendario

NUBE, PER VOCEARANCIO


Eyjafjallajokull ce la sta facendo pagare. Il vulcano islandese che giovedì ha generato la colossale nube di cenere che ha costretto a terra gli aerei di mezza Europa è stato visto da qualcuno come la vendetta dell’Islanda, nazione che aveva attraversato una grande crescita economica grazie a spericolate politiche finanziarie e che poi la crisi aveva messo in ginocchio. Il conto di questa ”vendetta naturale” è molto salato.
Si parte dalle compagnie aeree, il settore più direttamente colpito. Da giovedì a martedì in Europa sono stati cancellati 82mila voli e sono rimasti a terra 6,8 milioni di passeggeri. Ulrich Schulte-Strathaus, segretario generale della Aea (l’ Associazione che raggruppa 36 compagnie aeree europee) ha inviato un rapporto al presidente della Commissione europea, Josè Manuel Durao Barroso. Dentro ha elencato i costi per i vettori europei: 100 milioni di euro al giorno. La Iata, che mette assieme anche le compagnie degli altri continenti, aggiunge al conto altri 50 milioni quotidiani. In cinque giorni, quindi, il vulcano ha bruciato più o meno 750 milioni di euro dai conti delle compagnie.
Quelle che hanno tirato fuori le cifre hanno dato numeri allarmanti. Venti milioni di sterline al giorno per British Airways, trentacinque milioni di euro per Air France, nove per la compagnia aerea scandinava Sas. Secondo l’amministratore delegato di Air France-Klm, Pierre-Henri Gourgeon, potrebbero essere a rischio 500mila posti di lavoro in Europa. «Siamo davanti a una situazione inedita e imprevedibile. Peggio di così non può essere», ha detto il numero della seconda compagnia europea per fatturato.
Nel caso di Alitalia, che ha dichiarato un fatturato di 2.921 per il 2009, anno in cui ha cominciato a operare il 13 gennaio, dividendo questo importo per 353 (cioè 365 giorni meno i 12 in cui la compagnia non era attiva nel 2009) si ottiene che a ogni giorno di volo corrispondono 8,27 milioni di euro in media di ricavi, secondo i dati 2009. Le cancellazioni hanno colpito meno la compagnia italiana. In pratica si stimano perdite attorno ai 6 milioni di euro al giorno.
La prima compagnia del continente, Lufthansa-Swiss-Austrian, non ha diffuso i suoi numeri, ma ha chiarito di non essere assicurata contro i danni derivati dall’eruzione di un vulcano. In realtà sembra che nessuna compagnia abbia un’assicurazione del genere. Quindi le perdite dovrebbero essere colmate direttamente dai vettori.
Gli aeroporti europei hanno perso 136 milioni di euro per colpa della nube. La stima è stata presentata da Olivier Jankovec, direttore generale dell’Aci Europe, l’organizzazione che raggruppa gli aeroporti. Jankove ha aggiunto che l’impatto economico è peggiore di quello derivato dall’attacco alle Torri Gemelle dopo l’11 settembre del 2001.
Poi ci sono le esportazioni, che in Italia hanno sofferto solo relativamente. Bisogna tenere conto del fatto che il peso del trasporto aereo sul totale del trasporto merci è molto relativo.Infatti ogni anno, nel mondo, viaggiano via aerea poco più 80 milioni di tonnellate di merci (alimentari e non). Meno del 2%. In Europa la quota è pari a 14 milioni di tonnellate. Per l’Italia la via aerea è un canale marginale: 840 mila tonnellate all’anno (il 6% del totale europeo). Tutti gli scali italiani messi insieme movimentano in un anno meno della metà delle merci in transito per il solo aeroporto di Francoforte o di Parigi.
Così il viceministro Adolfo Urso ha definito «limitato» e «recuperabile» l’impatto economico della nube dal punto di vista dell’export.
Si esportano per via aerea prodotti di valore che devono arrivare molto in fretta a destinazione. Quindi soprattutto cibi deperibili. Difatti il settore produttivo più colpito dallo stop ai voli è forse quello alimentare, che spedisce con l’aereo i prodotti freschissimi ad alto valore aggiunto: mozzarelle di bufala dalla Campania, primizie dalla Romagna, ostriche dal delta del Po, aragoste (vive) del canale di Sicilia, o viceversa il pesce norvegese diretto ai ristoranti italiani. Poi jogurt, bevande di alta gamma come la grappa. Per questo tipo di prodotti l’Inghilterra e la Germania sono rispettivamente il quarto e il primo mercato di sbocco per l’Italia.
Secondo i calcoli di Coldiretti la nube ha provocato grosse perdite per l’agricoltura italiana, pari a circa 15 milioni di euro. «Dalla frutta ai fiori, dalle mozzarelle alle primizie – denunciano gli agricoltori – è tutto un sistema che rischia di rimanere a terra». Anche Federalimentare stima in 10-15 milioni la perdita subìta dal sistema economico. «Se poi consideriamo il resto del mondo – continuano da Federalimentare – vanno aggiunti mancati introiti per 5 milioni di euro».
Sono andati distrutti almeno 10 milioni di rose prodotte in Kenya che è il principale esportatore mondiale verso i mercati europei, resi irraggiungibili a seguito del blocco del traffico aereo. I fiori del Kenya, soprattutto le rose ma anche orchidee e lilium, arrivano in Europa per via aerea attraverso l’Olanda da dove vengono poi spedite nei diversi Paesi, Italia compresa.
Coop Italia sostiene che la situazione più difficile è nel pesce fresco, per quel 12% di mercato che arriva da zone come Africa, Oceano Indiano o Argentina e che viaggia per forza di cose via aereo, per un valore sui 40 milioni di euro di fatturato annuo. Sono prodotti – aggiunge Marco Guerrini, responsabile carni e ittico di Coop Italia – come il persico del Nilo, i filetti di cernia da Africa e Argentina, il tonno dell’Oceano india
Molto più degli alimentari, almeno secondo le stime, sarebbe il settore del turismo ad avere sofferto la crisi. Per l’Italia, Federalberghi ha stimato in 80 milioni di euro la perdita di fatturato dovuta all’eruzione, con cancellazioni delle prenotazioni nel 66% delle strutture alberghiere. Le aree più colpite sono state le città d’affari e quelle d’arte, ma con il passare delle ore le cancellazioni hanno colpito anche le località di vacanza.
E ancora: la Camera di commercio di Milano ha stimato che il comparto del turismo nel Nord Italia sta rinunciando a 10 milioni di euro al giorno (100 milioni di euro in Europa).
I tour operator sono nel panico. Cinzia Renzi, presidente della Fiavet, l’associazione delle agenzie di viaggio, ha chiesto al governo lo stato d’emergenza per il settore e l’intervento della Protezione civile. «Ci sono migliaia di italiani che non possono rientrare da viaggi e vacanze racconta e non si trovano più né pullman, né treni e noi dobbiamo anticipare le spese per soggiorni extra e mezzi alternativi che sono a carico dei clienti. Solo per un mio gruppo di studenti bloccato a Vienna sto anticipando 7mila euro. Moltiplichi i costi e vedrà che si parla di milioni».
All’estero Tui Travel e Thomas Cook, i due maggiori tour operator d’Europa, hanno calcolato i costi delle perdite previste: 20 milioni di sterline Tui (23 milioni di euro), 7 milioni Thomas Cook.
Mentre le aziende di ”travel management”, che gestiscono i viaggi per le imprese, sono state bersagliate di richieste. La Hogg Robinson ha spiegato di avere avuto 25mila chiamate d’emergenza nel weekend, contro una media di 400. ”Molti, però, hanno accettato il fatto che non ci fosse niente da fare”, spiegano dalla compagnia.
Anche le fiere sono state svuotate dal fermo degli aerei. Giandomenico Auricchio, presidente del Comitato Fiere Industria di Confindustria, spiega: «Possiamo dire tranquillamente che ci sono 20mila operatori stranieri che ogni settimana sbarcano in aereo in Italia». La nube, dunque, ha impedito ad almeno 20mila persone di raggiungere il nostro paese. Se però si considera che la settimana scorsa c’erano grandi eventi come il Salone del mobile di Milano e Cosmoprof a Bologna la stima dei mancati arrivi potrebbe essere molto più elevata.
L’economista Giacomo Vaciago propone un calcolo relativamente semplice, ma anche molto più pessimistico: «Le spese di trasporto rappresentano circa il 5 per cento del valore di una merce. Dunque, se le compagnie aeree denunciano un danno di 150 milioni di euro al giorno, il danno al pil è di 3 miliardi ogni 24 ore».
Qualcuno, però, col vulcano ci ha guadagnato. Tutti i sistemi di trasporto alternativi, ad esempio.
In Italia le Ferrovie hanno aggiunto 27 treni a lunga distanza (18 tra Milano-Roma; 9 tra Venezia-Roma). Più un extra Milano-Parigi. Tutti pieni. Così come gli Eurostar che passano sotto la Manica, e vanno da Londra a Parigi e Bruxelles. L’azienda che li gestisce, Eurostar, ha piazzato 30mila biglietti aggiuntivi a 89 sterline l’uno.
Poi i taxi, che si sono resi disponibili ad affrontare viaggi lunghissimi per ricchi passeggeri. Per esempio, un gruppo di 14 turisti ha chiesto due taxi, di sette posti l’uno, per andare da Roma Parigi. La somma pagata è stata di 2mila euro per ogni auto, per un totale di 1.500 chilometri macinati. Sono diverse le richieste per destinazioni fuori dall’Italia arrivate al 3570, la cooperativa radiotaxi più grande della Capitale che conta 3.500 tassisti. Per raggiungere Ginevra e Basilea alcuni stranieri hanno pagato 1.400 euro, per Hinsbruk 1.500 euro.
Scene simili si sono viste ovunque. L’ex-Monty Python John Cleese si è pagato un taxi dalla capitale norvegese fino a Bruxelles. «Abbiamo provato tutte le possibilità – ha raccontato l’attore comico ”ma non c’era più posto né in treno, né tantomeno sulle navi. Il mio assistente, a quel punto, mi ha consigliato di prendere un taxi». La fattura? Poco più di 30 mila corone, all’incirca 3.800 euro, per percorrere circa 1.500 km, ha detto Cleese, che si trovava ad Oslo per partecipare a un talk-show.
La domanda di videoconferenze ha subito un forte aumento a causa dei disagi ai trasporti causati dall’eruzione vulcanica in Islanda."Stiamo registrando un forte aumento nell’utilizzo", ha detto Fredrik Halvorsen, ex amministratore delegato di Tandberg e ora capo della divisione specializzata in comunicazioni informatiche di Cisco, il primo gruppo del settore. Secondo l’amministratore delegato di Videoworks Even Zimmer, gli eventi degli ultimi giorni obbligheranno le persone a riflettere sui benefici delle videoconferenze: ”Il periodo è molto favorevole. La crescita del mercato e le conseguenze (positive) della nube di cenere non saranno dimenticate molto presto”.
Difficile poi calcolare i guadagni aggiuntivi incassati da alberghi e ristoranti che hanno dovuto ricevere i passeggeri rimasti a terra.
L’unico Ufficio studi che ha azzardato un calcolo complessivo dei danni è quello della Camera di commercio di Monza e Brianza. Il risultato è che la nube è già costata all’Europa più di 375 milioni di euro in tre giorni. In particolare, il mancato arrivo di turisti e uomini d’affari ha una ricaduta con una perdita di indotto turistico relativo all’accoglienza, allo shopping, agli spostamenti, alla cultura. Le stime sono dell’Ufficio Studi secondo il quale, per il sistema economico delle grandi aree metropolitane, la perdita ammonta a più di 140 milioni di euro, distribuiti tra quella di Londra (57 milioni), Parigi (37 milioni), Francoforte (25 milioni), Amsterdam (20 milioni) e 15 milioni per l’area di Milano e della Lombardia.
Dal punto di vista dell’inquinamento, invece, i danni della nube sono molto limitati. Le polveri della nube potrebbero provocare problemi alla salute tra gli islandesi, a causa della grossa quantità di polveri sottili generate dal vulcano. Per l’Italia, ha spiegato il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, «è escluso ogni rischio per la salute, così come lo è in tutti i Paesi europei dove la nube è stata più presente».