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 2010  aprile 20 Martedì calendario

MENO DI QUARANTA NEL CLUB DI GIANFRANCO

Saranno parecchie le sedie vuote, oggi, alla Sala Tatarella, accanto a Palazzo Montecitorio. Sono i lombardi i primi a disertare la convocazione del gruppo finiano e a guidare la rivolta contro i traditori. Ma, complice la violenza verbale dei sostenitori di Gianfranco Fini, traballano anche alcuni pezzi importanti del Nordest.
E non è nemmeno detto che fra gli altri partecipanti ne sono previsti una quarantina vi siano soltanto seguaci del presidente della Camera. Perché un po’ di loro saranno semplici osservatori, altri stanno a metà del guado, in attesa degli eventi. E soprattutto un’altra componente, ultramaggioritaria nell’Italia del Nord, ritiene che «qualunque cosa accada, il PdL rappresenta una scelta giusta e irreversibile che vogliamo contribuire a rafforzare restando all’interno del partito». Sono i diciotto deputati e senatori ex di Alleanza Nazionale, lombardi, piemontesi e liguri, riuniti ieri nello studio milanese del ministro della Difesa, Ignazio La Russa.
In vista della direzione di giovedì prossimo, sottoscrivono un documento in cui prendono le distanze da Gianfranco Fini e dal gruppo degli scissionisti e lo propongono a tutta l’area dell’ex Alleanza Nazionale, in contrapposizione al documento dei quattordici senatori finiani, per sottrarre le ultime speranze di creare una nuova compagine di destra scissionista. «E per ora ci siamo occupati soltanto del Nordovest, ma non credo che sarebbe diverso in altre parti d’Italia», spiega La Russa.
Oltre a lui, tra i firmatari, compaiono il sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, quello alle Attività Produttive, Stefano Saglia, il vice sindaco di Milano, Riccardo De Corato, i senatori Alessandra Gallone, Giorgio Bornacin, Andrea Fluttero, i deputati Gianni Mancuso, Eugenio Minasso, Agostino Ghiglia, Viviana Beccalossi, Paola Frassinetti, Alessio Butti, Carlo Nola, Antonino Caruso, Pierfrancesco Gamba e Massimo Corsaro. Quest’ultimo, vicecoordinatore regionale lombardo del PdL, motiva la propria scelta con una nota: «Nessuno di noi intende minimizzare l’importanza di riequilibrare i rapporti tra il PdL e la Lega», ma accusa «chi sostiene di voler contenere la crescita di Bossi» di alimentare, «di fatto, il passaggio del nostro elettorato verso la Lega». Ma «la continua ed ossessiva ripetizione di messaggi anomali e fuorvianti in materia di sicurezza ed immigrazione» è una strategia che «disorienta il nostro elettorato e offre l’impressione di un partito che stenta a comprendere il forte disagio sociale, economico e culturale prodotto dall’immigrazione clandestina».
Mancano soltanto le firme di Andrea Ronchi, Mirko Tremaglia, Giuseppe Valditara e Marco Zacchera, tutti variamente schierati con l’ex leader di An. Alcuni non li hanno nemmeno invitati perché si sta da che parte stanno. Anche se criticamente, come nel caso di Zacchera, primo cittadino di Verbania, da cui lo stesso Fini aveva preso le distanze precedentemente dicendo che fare contemporaneamente il sindaco e il deputato significava prendere in giro gli italiani. E lui coglie l’occasione per replicare, dicendo che il capo «sembra aver smarrito una linea di comunicazione convincente soprattutto verso i suoi ex elettori di An che in buona parte non seguono più i suoi ragionamenti e spesso ne restano sconcertati». Non lo attrae per nulla la prospettiva dei gruppi autonomi, in quanto «siamo stati eletti come deputati del PdL e quindi non si può e non si deve cambiare casacca». Ma non chiude tutte le porte né all’uno né all’altro schieramento.
 la stessa ambiguità che prevale, nelle risposte alle telefonate di Rita Marino, la segretaria di Fini, e di Donato Lamorte, il braccio destro. All’incontro non ci si sottrae. Quanto a decidere come schierarsi, se ne parlerà giovedì, dopo la direzione nazionale. Nell’ipotesi di una rottura, il drappello dei fedelissimi di Fini si ridurrebbe a un pugno di aderenti. Se si andasse verso una lenta ricucitura, che in campo finiano molti prevedono e auspicano, ci si tornerebbe a dividere, come al solito, fino a chiarimento definitivo.