Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 16 Venerdì calendario

[4 articoli ] CIELI CHIUSI IN EUROPA L’ERUZIONE BLOCCA GLI AEROPORTI- Il nome, Eyjafjallajökull, si riuscisse al­meno a pronunciarlo

[4 articoli ] CIELI CHIUSI IN EUROPA L’ERUZIONE BLOCCA GLI AEROPORTI- Il nome, Eyjafjallajökull, si riuscisse al­meno a pronunciarlo. Almeno sapreb­bero, le migliaia di persone appiedate ieri, con chi prendersela per la vacanza mancata, l’appuntamento di lavoro saltato, il ritorno a casa forzatamente posticipato. Uno spettro s’aggira per l’Europa. Invisibi­le a bassa quota, potenzialmente letale so­pra i diecimila piedi d’altezza. Cenere spu­tata via da quel Eyjafjallajökull, appunto, di cui fino a ieri milioni di persone ignorava­no, beatamente, pure l’esistenza. Il vulcano si trova sotto l’omonimo ghiacciaio islan­dese e ha causato con la sua eruzione una gigantesca nuvola di cenere. Capace, incre­dibilmente, di spingersi a migliaia di chilo­metri di distanza e di provocare il blocco del traffico aereo di mezza Europa. In questi anni nemmeno al-Qaeda, con le sue minacce, era riuscita ad arrivare a tan­to. Non solo la scarsa visibilità, spiegano gli esperti, ma anche i possibili danni ai reat­tori, provocati da frammenti di roccia e ve­tro, stanno mettendo a rischio la sicurezza aerea. Chiusi per cenere, dunque, gli aero­porti uno dopo l’altro a mano a mano che si capiva come il rischio fosse potenzial­mente devastante. Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Svezia, Finlandia. Oslo in Nor­vegia e Bruxelles in Belgio. Amsterdam in Olanda e la Francia settentrionale, Parigi in­clusa. E ancora il Nord della Polonia, Am­burgo e i due scali di Berlino. Mentre ironi­camente l’aeroporto di Keflavik, nel nord­ovest dell’Islanda, e quello della capitale Reykjavík rimanevano aperti a guardare le ceneri che si muovevano verso sud-est e tra­sformavano l’Europa settentrionale in un’imponente «no-fly zone». Secondo Eurocontrol, l’organismo conti­nentale della sicurezza aerea, il blocco po­trebbe durare altre 48 ore e già oggi i colle­gamenti con gli Usa saranno ridotti del 50% . E il fenomeno potrebbe avere ripercussio­ni sul traffico aereo per i prossimi sei mesi, nel ca­so in cui l’eruzione conti­nuasse. «Non è mai acca­duto niente di simile», ha sottolineato Brian Flynn, vicedirettore delle opera­zioni di Eurocontrol. La Gran Bretagna ha chiuso dalle 12 di ieri il suo spazio aereo almeno fino a stamattina. « la prima volta che un disa­stro naturale causa una tale interruzione», ha e­videnziato un portavoce del Servizio per il traffico aereo britannico. Nemmeno l’11 settembre del 2001, a Lon­dra, si decise di chiudere lo spazio aereo. E il blocco potrebbe durare almeno fino a do­menica. Un portavoce di Heathrow – l’ae­roporto con maggior traffico in Europa – ha riferito che i voli cancellati ieri sono stati 840 su 1.250, con ripercussioni su 180mila passeggeri. Altre 220mila persone sono ri­maste appiedate nel resto del Regno Uni­to. Impressionante la calca formatasi ai banchi delle compagnie aeree. Mentre sono stati letteralmente polverizzati i biglietti per i treni Eurostar tra Londra, Parigi e Bruxelles. In Belgio il traffico aereo è stato inter­detto alle 16,30 di ieri pomeriggio e così resterà almeno fino alle 18 di oggi, tanto che è stato predi­sposto un centro di acco­glienza attrezzato con letti, nel quale verranno serviti pasti e bevande. In Italia i maggiori di­sagi a Fiumicino e Ciampino, dove sono stati soppressi 49 voli, ma can­cellazioni si sono registrate anche a Ve­nezia, Trieste, Bergamo. In Germania un centinaio sono stati i voli cancellati solo a Francoforte, 44 quelli annullati a Duessel­dorf. Stando alle autorità aeree del continente, la cenere islandese ha lasciato a terra quasi un aereo su quattro. Compreso quello del pre- mier russo Vladimir Putin, costretto a ri­mandare un viaggio verso la città artica di Murmansk. Saltata anche l’udienza di oggi del presidente dell’Europarlamento Jerzy Buzek con Benedetto XVI. E a rischio è pu­re la riunione dell’Ecofin prevista per oggi a Madrid: in Spagna sono stati 466, ieri, i vo­li soppressi tra arrivi e partenze. Il blocco sui cieli europei ha avuto ripercussioni anche oltreoceano, negli scali interna­zionali americani. A terra, infatti, sono rimaste centinaia di persone dirette in Europa soprattutto dagli aeroporti di New York e Chicago. Mentre le compagnie aeree sono già in allarme per le ripercussioni fi­nanziarie, gli esperti meteo stanno monitorando la situazione, ma è dif­ficile prevedere cosa accadrà nel­le prossime ore. La riapertura de­gli scali dipende soprattutto dalla direzione del ven­to e dal prosegui­mento dell’attività eruttiva del vulcano di Eyjafjallajökull. U­no di cui, con un no­me così, vai a sapere se ci si può fidare. Assai pericolosa la cenere ad alta quota per i motori degli aerei Bloccati migliaia di voli e passeggeri a terra in tutto il Nord Europa fino a Parigi Stop a Londra forse sino a domenica. Paolo M. Alfieri, Avvenire 16/4/2010 CANCELLATI 49 VOLI. E LA NUVOLA ALL’ORIZZONTE IN ITALIA- I l blocco dei voli in Nord Europa per la nuvola vulcanica si ripercuote sull’Italia. Solo a Roma ieri sono stati 49 i vo­li cancellati. E il copione con ogni probabilità potrebbe ripetersi oggi. Regno Unito, Olanda e Belgio i Paesi più colpi­ti, ma anche Irlanda, Lussemburgo e Danimarca sono a ri­schio. Molti viaggiatori sono stati avvertiti dalle compagnie prima di recarsi in aeroporto, altri sono rimasti a terra, ospi­tati in albergo a spese delle compagnie. Chi non può atten­dere cerca alternative: picco di prenotazioni sul Tgv Parigi­Londra che passa nell’eurotunnel sotto la Manica. Se i venti in quota dovessero spingere al Sud le microparticelle dell’e­ruzione, nei prossimi giorni non si può escludere che la nu­be arrivi in Italia. Le polveri però potrebbero arrivare sui no­stri cieli più rarefatte. Uno scenario possibile ma non proba­bile, avvertono i meteorologi. A Fiumicino dunque sono stati 37 i voli cancellati, tra arrivi e partenze. Nel dettaglio, 23 collegamenti cancellati in parten­za e 14 in arrivo. Soprattutto British Airways, Alitalia, Easy Jet e Air Lingus. A Ciampino, dove opera Ryanair, cancellati 12 voli. A Fiumicino la situazione è abbastanza tranquilla, assi- cura Aeroporti di Roma, perché i passeggeri sono stati infor­mati per tempo dalle aviolinee. Sulla possibilità che il nuvolone arrivi sull’Italia non c’è una­nimità di opinioni tra gli addetti ai lavori. Vincenzo Ferrara, esperto di clima dell’Enea, sostiene che le correnti d’alta quo­ta stanno respingendo la nube verso Nord, ma una parte «po­trebbe arrivare sabato su Corsica e Sardegna, anche se in quan­tità trascurabile e senza effetti di raffreddamento sul clima». «Potrebbe spingersi sull’Italia – dice Giampiero Maracchi, or­dinario di climatologia a Firenze – ma è difficile fare previsio­ni sul suo andamento finché non si saprà esattamente che massa ha». «Dipenderà molto dalla durata dell’eruzione e dai venti in quota», spiega il maggiore Filippo Petrucci del Cen­tro nazionale meteorologico dell’Aeronautica militare: «Allo stato attuale – dice – è prematuro azzardare qualsiasi previ­sione ». I problemi per gli aerei, spiega il maggiore, non sono legati alla visibilità – «il volo oggi è quasi tutto strumentale» – ma all’impatto delle ceneri: «Le microparticelle danneggiano gli apparati elettronici, le prese d’aria, il tubo di Pitout che va­luta la velocità del vento e dell’aeromobile, l’altimetro. Ma il danno maggiore è nelle turbine: possono fondersi e solidifi­carsi modificando il profilo delle pale, fino al blocco». Luca Liverani, Avvenire 16/4/2010 ISLANDA, IL RUGGITI DEL VULCANO DOPO DUE SECOLI L’ allarme scattato in tutta l’Eu­ropa del nord e che ha bloc­cato migliaia di voli, facendo chiudere gli aeroporti di mezzo conti­nente, è dovuto alla enorme tempesta di cenere che arriva dall’Islanda. Un vul­cano adiacente l’immenso ghiacciaio Eyjafallajökull ha ripreso l’attività, do­po secoli di inazione. Prima conse­guenza la fuga degli 800 abitanti di Ey­vindarholar. Le autorità hanno poi pre­parato i piani per l’evacuazione di altri centri abitati e allertato la protezione civile di Reykjavik che si trova ad appe­na 120 chilometri dal cratere. La bocca del vulcano ha un’apertura di cinque­cento metri e minaccia di allargarsi ul­teriormente, aprendosi il varco nella massa di ghiaccio che finora l’aveva soffocata. La polizia islandese ha comunicato che nelle settimane scorse si erano susse­guite diverse scosse telluriche in pros­simità del ghiacciaio. Un fatto che fa supporre che l’eruzione sia avvenuta sotto il ghiacciaio stesso in un punto di­verso da quello registrato. Il 21 marzo, quando l’attività eruttiva era iniziata, seppur con minore intensità, aveva in­dotto le autorità a far allontanare, per precauzione, gli abitanti dei villaggi vi­cini. L’eruzione non aveva provocato al­cuna vittima, ma la settimana scorsa due turisti vulcanologi erano morti di stenti dopo essersi smarriti nella zona vulcanica che si trova in prossimità del­la costa meridionale dell’Islanda e che investe anche le isole minori dell’arci­pelago. Fu proprio in questa zona, a Heimaey Island, che si verificò l’ultima grande e­ruzione nel 1973, con l’apertura di un cratere lungo 3 chilometri. Lava, cene- re e lapilli minacciarono il porto di Ve­stmannayear, ma gli islandesi riusciro­no, con una tecnica ingegnosa, a de­viare il corso del magma, salvando l’a­bitato e le strutture portuali. Il vulcano che si è risvegliato in questi giorni era inattivo dal 1823 dopo una fase eruttiva durata più di un anno (di­cembre 1821-gennaio 1823). Il vulca­nologo Reynir Bödvarsson ritiene che l’eruzione in corso potrebbe durare an­ch’essa mesi o addirittura anni. «Il vul­cano continua a produrre cenere – ha spiegato – e finché i venti soffiano nel­la direzione attuale costituisce una mi­naccia per tutta l’Europa settentriona­le, a cominciare dalla Scandinavia». «La cenere – ha detto Bödvarsson – si for­ma a contato con l’acqua. Dato che il vulcano si trova sotto il ghiacciaio, la la­va, salendo, incontra il ghiaccio e si ri­duce in cenere. Si sta cercando di fare l’analisi chimica della cenere per de­terminarne il contenuto perché è da es­so che si può poi dedurre la durata del­l’emissione. Può calmarsi fra qualche giorno o continuare a lungo».  la cenere a rappresentare, con il suo contenuto di cristalli e frammenti roc­ciosi, il più serio pericolo per i motori degli aeroplani. A contatto di essi, ad u­na temperatura di 2.000 gradi, le parti­celle possono fondersi e bloccare parti vitali dei propulsori. quanto accadde nel 1982, a un velivolo in Indonesia. Anche il contenuto tossico della cene­re può essere elevato e pericoloso per la salute. Zolfo e fluoro, se aspirati in forti dosi, possono risultare letali. L’e­ruzione del 1783 portò una nube di ce­nere sprigionatasi in Islanda a coprire tutta l’Europa settentrionale. In Gran Bretagna 23.000 persone furono uccise dai gas venefici che provocarono anche la morte di un quarto della popolazio­ne islandese. Francesco Saverio Alonso «EFFETTI SUL CLIMA DI BREVE DURATA»- S i stima che ci siano circa 600 vulcani in attività, per emissioni di anidride carbonica stimate a oltre 130 milio­ni di tonnellate (poco meno di un terzo di quanto emette l’Italia). «Ma un’eruzione come quella islandese non cambia il bi­lancio complessivo – dice Giuliano F. Pan­za, dell’Istituto Nazionale di Oceaonogra­fia e Geofisica dell’Università di Trieste e membro dell’Accademia dei Lincei – per­ché la quantità di gas sparati in atmosfera da un vulcano è la stessa sia che li rilasci nel tempo sia che lo faccia tutto insieme. Ogni vulcano – spiega Panza – è come a­vesse un badget di CO2; quando non e­rutta continua comunque a emettere ani­dride carbonica in modo silenzioso; l’eru­zione cambia soltanto la rapidità del rila­scio ». Quindi – a prescindere dall’impor­tanza che si dà al fattore CO2 per la deter­minazione del clima – il contributo dei vul­cani è costante. «La vera incidenza sul clima è invece di­retta, causata dal particolato che viene spa­rato – prosegue Panza – ma ci sono molti fattori da considerare: ovviamente la po­tenza e la durata dell’eruzione»: basti pen­sare che mentre l’eruzione del Pinatubo (Filippine) nel 1991 durò pochi giorni, u­na precedente eruzione in Islanda nel 1783 (il vulcano Laki) andò avanti per otto me­si. «Ma è molto importante anche il luogo dove l’eruzione avviene», prosegue Panza: «L’effetto su scala planetaria tende a dimi­nuire man mano che ci si allontana dall’e­quatore perché la circolazione atmosferi­ca va dall’equatore verso i poli. Per questo, ammesso che ci fosse parità di potenza e durata, sul clima globale avrebbe più effetti l’eruzione del Pinatubo rispetto a quella di un vulcano islandese». «Anche la stagione in cui avviene l’eruzio­ne ha la sua importanza», aggiunge Guido Guidi, colonnello dell’Aeronautica Milita­re e responsabile del sito Climate Monitor: «Nelle zone tropicali il raffreddamento si registra soltanto nella stagione estiva, men­tre nel caso dell’Alaska e dell’Islanda av­viene anche nella stagione invernale». In ogni caso «l’effetto sul clima è quello di un raffreddamento – prosegue Guidi – a causa dello schermo che le polveri op­pongono al passaggio dei raggi solari». Di quale entità è il raffreddamento e quan­to può durare? «In genere l’effetto raffred­damento è di breve durata, si esaurisce in uno-due anni – dice Guidi ”. Ma è chiaro che anche questo dipende da potenza e durata dell’eruzione. Se la cenere sale ol­tre i 20mila metri, ovvero entra nella stra­tosfera, l’effetto è di più lunga durata, mi­nore se la cenere resta nella troposfera». Nella storia degli ultimi secoli si sono regi­strate peraltro anche effetti climatici più duraturi, come nel già citato caso del Laki in Islanda del 1783: si registrarono ano­malie climatiche così forti e così diverse da Paese a Paese, che si registrarono migliaia di morti e che influenzarono anche il cor­so degli eventi negli anni della Rivoluzio­ne francese (1789). Nulla però si può ancora dire riguardo al­l’eruzione in corso, bisognerà attendere i prossimi giorni. E «in ogni caso gli effetti si vedranno dalla stagione successiva», dice Guidi. Vale a dire che un eventuale raf­freddamento sarà percepibile da settem­bre- ottobre. Alcuni esperti temono che ci possa essere un effetto a catena che po­trebbe provocare una esplosione ancora più forte del vicino vulcano del Monte Ka­tla, descritto come «enormemente poten­te » e in grado di provocare conseguenze su un’area più vasta. «Ma non dobbiamo essere allarmisti – sottolinea il professor Panza ”; l’eruzione dei vulcani è un fatto normale. Questa volta ce ne accorgiamo perché accade nei pressi di una zona ad alta densità di aeroporti di cui è stata sag­giamente ordinata la chiusura. Fosse av­venuto in un’altra area non se ne parle­rebbe tanto». Riccardo Cascioli, Avvenire 16/4/2010