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 2010  aprile 15 Giovedì calendario

COSI’ CAMBIO LO SHOPPING IN CITTA’


Bello e accessibile: il nostro è quel lusso che riporta in auge il vecchio concetto qualità-prezzo, che fa superare alla gente il blocco di fronte alla porta di una boutique, che rilancia il centro commerciale nel cuore della città... Se si crede che per vendere occorra esserci tagliati, impolverarsi le scarpe e curare ogni dettaglio, Stefano Beraldo ne è un testimonial. L’amministratore delegato del gruppo Coin (che possiede anche Ovs e ha appena comprato Upim) ha rovesciato in cinque anni il destino di un gruppo al tramonto in una storia di successo: da un rosso di 40 milioni a un margine operativo lordo che nel 2008 è stato di 133 milioni, e nell’anno appena concluso salirà a 150. In breve, ne ha fatto il primo department store italiano, cosa che la Borsa ha apprezzato, visto che ha spinto il titolo dai 200 milioni di euro di capitalizzazione di cinque anni fa, ai 750 di oggi.

La svolta si deve a una combinazione di fattori, nient’affatto casuali: la famiglia Coin che passa la mano (pur mantenendo una quota) a un fondo di private equity, il Pai partners; l’arrivo di questo trevigiano di 53 anni che nei momenti liberi strimpella al piano in stile lounge e che soprattutto ha cavalcato il marketing in palestre come De Longhi, Carrefour, Gs; il declino del grande magazzino nel cuore della città, travolto dalle boutique da un lato e dal mega centro commerciale fuori porta dall’altro. "Coin era considerato di serie B, avevamo solo quattro marchi famosi e quando mi presentai da Dolce e Gabbana per convincerli a darci i loro prodotti mi mandarono in bianco", ricorda Beraldo. Seguì un tour personale dell’amministratore delegato in tutta la rete, sia in veste ufficiale che in incognito (e certe volte anche delegando la mamma come agente speciale) per scoprire come si vendeva: ne risultò che il livello di servizio del Coin di San Giovanni a Roma era il peggiore di tutti, che ovunque non si intercettava il cliente, che i prodotti erano poco attraenti. Tutto da rifare.

"Odio le riduzioni dei costi, i profitti li voglio fare con la crescita", giura Beraldo. Pochi prepensionamenti, abbassamento dell’età media dei commessi, ma soprattutto un bel pacco di denaro, 400 milioni, investiti per il cambio d’immagine. Che vuol dire lavoro duro sui negozi. Oggi il flagship store di Coin, quello di piazza Cinque giornate a Milano, assomiglia a un grande magazzino americano o a un Corte inglés: un megaschermo che parla alla città (per un certo periodo forniva ogni giorno un sondaggio di Mannheimer sull’umore dei milanesi), vetrine glamour, un’illuminazione con luci che simulano le nuvole cambiando colore, un ristorante trendy al roof e un’enoteca in cantina.

Anche alla catena a basso prezzo Oviesse (in cui è stata integrata la Standa, acquistata nel ’98), oggi ribattezzata Ovs Industry, la cura del look dà i suoi frutti. Il negozio-immagine è quello di San Babila, ma dopo la conversione dei primi 100 magazzini ne sono stati aperti altri cento (più altri 80 all’estero con joint-venture locali): lo stile si concentra sul casual giovanile, i prezzi sono costruiti per fare concorrenza a H&M e lo scontrino medio è sui 30 euro (40 euro quello di Coin). Alla fine dell’anno della crisi, in cui tutto il commercio, alto e basso, ha lasciato sul campo fette consistenti di fatturato, Ovs chiude con un meno 1 per cento che non fa troppo male.

Dare glamour ai negozi, togliere loro l’aria polverosa da vecchio film sui grandi magazzini, ha come primo effetto che si possono mettere in vendita gli spazi. "Prima non li voleva nessuno, ora, solo da Coin, abbiamo 30 mila metri quadrati affittati". A chi? Alle griffe, che hanno dismesso la puzza sotto il naso e sono arrivate: Seventy, Love Moschino, Armani Jeans, DKNY jeans, Pepe, Coccinelle, Mango, Custo tanto per dirne alcune. Ma dietro al fiuto di Beraldo c’è anche lo zampino di un maestro del made in Italy pop, Elio Fiorucci che, dove aver venduto il suo marchio ai giapponesi, ora ha ricominciato con una nuova etichetta, Love Therapy. Ebbene nelle retrovie di Coin Fiorucci disegna, consiglia, inventa, dà l’impronta del suo gusto estetico alla linee di produzione interne che vengono poi fabbricate con fornitori terzi a Hong Kong, Nuova Delhi, Dacca, in Turchia. E nelle quali la strategia del gruppo è anche quella di offrire spazio a nuovi talenti, giovani designer che trovano così un canale insperato nella grande distribuzione.

Beraldo adesso è alle prese con il nuovo ’giocattolo’, la catena Upim. Acquistata all’inizio del 2009 e non proprio in forma smagliate, ha avuto però due buone ragioni di appeal. La proprietà immobiliare, cioè i negozi, e il prezzo: 140 location, molte in centro città, per 100 milioni di euro, con l’ingresso delle banche in cambio della rinuncia a 52 milioni di debito, più un impegno chiesto agli azionisti per 40 milioni (Beraldo con altri manager ne hanno puntati dieci). Ebbene Upim cambierà completamente volto. In parte verrà cannibalizzato: una ventina di negozi assumeranno il marchio Coin, una novantina si trasformeranno in Ovs Industry. Ne restano una trentina, collocati in posizioni centrali nel tessuto urbano, sui quali Beraldo ha inventato una formula commerciale con un posizionamento che definisce ’popolare’. "Aprire un nuovo centro commerciale fuori città ormai è un rischio, visto il numero di quelli già nati di recente", dice, "mentre i centri cittadini si sono svuotati di attività di servizio, per cui per un ferramenta occorre prendere la macchina. La nostra idea è quindi di creare un centro commerciale in città dove, come in un emporio, si trovino tutti quei marchi best-seller e a prezzi medio-bassi, che si vanno a cercare negli shopping center di periferia", spiega l’amministratore delegato. Un mix di scarpe Nike, biancheria Yamamay, abbigliamento sportivo Decathlon, ferramenta Leroy Merlin, elettronica Darty. Tutto ’miniaturizzato’ e concentrato sulla superficie della vecchia Upim, con dei corner specialistici. I primi contatti con le case produttrici sono positivi: "La ricetta di introdurre una forma di commercio mista anche nel centro di una grande città", incalza Beraldo, "piace perché serve da ’assaggio’ per attirare clienti al grande centro commerciale, ma nello stesso tempo dà la stessa offerta a chi non lo vuole fare".

Intanto, poiché di questi tempi è il prezzo che fa premio, da metà aprile Coin lancia la linea Democratic wear a 10 euro: parte con i jeans, arriverà alla poltrona.