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 2010  aprile 16 Venerdì calendario

LA VERSIONE DI COLANINNO

Caro Direttore, ho letto con indignazione l’articolo di Peter Gomez dal titolo ”La polpa Telecom ha riempito le loro pance”, pubblicato ieri dal Fatto Quotidiano. Il pezzo contiene una serie di affermazioni e ricostruzioni infondate – fi g l i e della pericolosa categoria dei ”falsi miti” che continua tristemente ad animare la vicenda dell’offerta pubblica d’acquisto su Telecom – e che ho già avuto occasione di smentire in innumerevoli occasioni. Ma, evidentemente, repetita iuvant: sono costretto, quindi, a ricostruire (ancora una volta) i fatti così come si sono realmente svolti, nonché i loro risultati industriali e finanziari. Nella speranza che le illazioni possano lasciare posto, finalmente, alla verità storica. LA SCALATA. L’Opas lanciata da Olivetti su Telecom nel 1999 non rappresentò soltanto la più grande operazione di questo tipo mai realizzata in Italia e una delle principali effettuate a livello globale, ma anche lo strumento per realizzare uno straordinario progetto industriale nell’interesse di Olivetti, di Telecom Italia, del nostro Paese. Parlano i fatti: mi limito a ricordare che nel 2001 – al termine di un’avventura industriale complessa e appassionante – fui costretto a lasciare un’azienda totalmente diversa da come l’avevo trovata. In soli due anni l’azienda italiana di TCL era diventata un vero player internazionale, in virtù di una strategia di espansione sui mercati più promettenti del pianeta. Avevamo conquistato la maggioranza della società di telefonia mobile in Cile, sviluppato la rete di telefonia mobile e fissa in Brasile, razionalizzato Telecom Argentina, rafforzato la nostra presenza in Grecia, in Turchia e in tutta l’area del Mediterraneo orientale, avviata con Telecom Austria la presenza del gruppo sui mercati dell’Euro - pa centro-orientale in virtù di un accordo con il governo austriaco, risolti gravi contenziosi come quelli in Serbia e a Cuba nei riguardi degli Stati Uniti. Il profilo industriale di Telecom Italia nel 2001 spaziava dalla telefonia fissa a quella mobile, da Internet alla televisione, dalle comunicazioni satellitari ai sistemi informatici. Altro che Telecom ”spolpata”. Sotto il profilo finanziario, l’Opas del 1999 fu un’operazione di mercato così dirompente e trasparente da cogliere di sorpresa (e forse preoccupare) chi era abituato da decenni a considerare i ”salotti buoni” del capitalismo italiano come l’unico terreno di gioco delle grandi operazioni industriali e finanziarie del Paese. A differenza di quanto è successo negli altri passaggi di proprietà del gruppo telefonico, l’of ferta di Olivetti si rivolse infatti a tutti gli azionisti ordinari di Telecom Italia dando loro la possibilità di ”i n c a s s a re ” un premio rilevante rispetto alle quotazioni del titolo. IL DEBITO. Quanto al debito, desidero ribadire con forza che l’Opas non portò indebitamento su Telecom Italia e sulle altre società operative: per realizzare l’operazione Olivetti utilizzò 20.000 miliardi di lire di liquidità propria, bond e strumenti finanziari di debito, che rimasero in carico alla società di Ivrea e che sarebbero stati quasi annullati se l’operazione – già accettata dal mercato – di conversione delle azioni di risparmio Telecom Italia in ordinarie e il successivo buy back avessero trovato esecuzione nell’estate del 2001. Ma il dato fondamentale è un altro: il debito di Telecom, all’epoca, era largamente inferiore a quello dei grandi competitor europei ed era perfettamente sostenibile dalla cassa generata annualmente dal gruppo telefonico stesso. E’ altrettanto importante inquadrare in modo corretto un altro aspetto dell’operazione su cui vengono riproposte ciclicamente teorie improbabili e calunniose, delle quali mi interesserebbe molto conoscere le vere motivazioni. Nessuno chiese ed ottenne ”sponsor izzazioni” politiche o istituzionali. Non fanno parte della mia etica, sarebbero state contrarie alle regole del diritto nonché un’evidente contraddizione rispetto alla logica esclusivamente di mercato che caratterizzò l’intera operazione. All’epoca dei fatti le istituzioni competenti – in primis l’a l l o ra presidente del Consiglio Massimo D’Alema, il ministero del Tesoro, Consob e Borsa Italiana – controllarono severamente ogni dettaglio di questa operazione, garantendo il rigoroso rispetto delle leggi. Il modello di relazioni con tutti i rappresentanti del mondo istituzionale si basò sulla trasparenza e sulla tutela della neutralità: elementi richiesti – anzi pretesi – dal mercato, che fu in grado di stabilire l’esito dell’operazione al di fuori di ogni condizionamento esterno. L’opi - nione pubblica e il mondo finanziario e del risparmio furono informati quotidianamente dai media italiani e internazionali, che per la prima volta in Italia ebbero la possibilità di seguire, analizzare e valutare in ogni dettaglio un’Offerta di Pubblico Acquisto verso tutti gli azionisti di Telecom Italia, dalla sua nascita alla sua conclusione. Nel dettaglio, all’assemblea degli azionisti Telecom che doveva deliberare l’Opa di Telecom sulla controllata Tim si presentò soltanto il 22,3 per cento del capitale della società: l’assemblea, dunque, non poté né costituirsi né deliberare, a prescindere dalla decisione del ministero del Tesoro e del Fondo Pensioni della Banca d’Italia. Questi due soggetti erano titolari rispettivamente del 3,4 per cento e del 2,3 per cento del capitale di Telecom: se anche si fossero presentati a Torino, il quorum non sarebbe stato raggiunto. BELL. Voglio ribadire per l’en - nesima volta, inoltre, che non ho mai posseduto nessuna azione di qualsivoglia società lussemburghese e in particolare di Bell. Nel luglio 2001, quando gli azionisti di Bell decisero di vendere a Tronchetti Provera, lo fecero contro la mia volontà e quindi senza alcun mio coinvolgimento nella trattativa. A quel punto la mia decisione – proprio perché in contrasto con la strategia del gruppo Gnutti – fu quella di vendere tutte le mie partecipazioni in Hopa, Fingruppo e Olivetti al gruppo Gnutti. E’ doveroso ricordare, infine, che i frutti di questa e di tutte le mie operazioni sono sempre rimasti integralmente in Italia e hanno generato ingenti imposte a favore dell’erario. Roberto Colaninno • QUELLO CHE NON TORNA L a versione di Roberto Colaninno, a mio avviso fa acqua. Sia dal punto di vista storico che da quello politico e finanziario. Vediamo perché. 1) Nel 1998, cioé subito prima dell’arrivo alla testa di Telecom dei ”capitani coraggiosi” la società era in indebitata per 8,1 miliardi di euro. Oggi sono 34. 2) Questo buco è stato in gran parte causato dall’Opa del ”99. A indebitarsi infatti non fu nell’imme - diato Telecom, ma le società che la controllavano come Tecnost e Olivetti. Società che negli anni successivi, dopo diverse fusioni, hanno finito per scaricare il debito su Telecom. Ma quel che è peggio è che tutto questo caera stato ampiamente previsto. Non solo da molti giornali ed economisti, ma persino il 28 aprile del 99, dall’al - lora ad Franco Bernabè in un celebre discorso ai dipendenti. 3) Le scatole finanziarie, come Bell e Olivetti (17,5 miliardi di debiti nel febbraio 2001), che dall’Opa in poi hanno controllato Telecom (con Tronchetti si è passati a Olimpia) avevano sempre bisogno di soldi. E li pompavano dal basso. Anche per questo Telecom tra il 1998 e il 2008 ha distribuito 21 miliardi di dividendi. Pure quando la società andava male. 4) vero che nell’era Colaninno l’azienda, sull’onda della bolla della Borsa, si espandeva all’e s t e ro . Ma altrettanto vere sono le cessioni italiane di asset come Sirti e Italtel. 5) La conversione delle azioni Telecom e il buy back successivo che, secondo Colaninno, avrebbe potuto risolvere parte dei problemi non si è realizzato. E la storia non si fa con i se. 6) Parlare di governo D’Alema neutrale è un insulto alla cronaca e all’in - telligenza. Prima di tutto perché Telecom è un azienda strategica per il Paese e l’esecutivo ha non solo il potere, ma anche il dovere di seguirla. E poi perchè una serie di fatti, molti dei quali riassunti ne ”L’affare Telecom”, libro mai smentito dei giornalisti Oddo e Pons, dimostrano l’esatto contrario. Elogio dei ”capitani coraggiosi” a parte - avvenuto 24 ore prima del cda Olivetti che vota l’Opa - bisogna ricordare che a Colaninno, per fare cassa, fu permesso di vendere Omnitel e Infostrada alla Mannesmann con un anno di anticipo rispetto al vincolo previsto nella concessione di governo. Che nel cda Telecom sedevano tre rappresentanti dell’esecutivo che potevano esprime il loro gradimento sui nuovi soci con più del 3 per cento del capitale. Che, secondo i mai smentiti Oddo e Pons, Colaninno incontrò D’Alema un mese prima della scalata e gli mostrò due lettere d’impegno delle banche disposte a sostenerlo. Che il tesoro e la Banca d’Italia non parteciparono all’assemblea Telecom che avrebbe dovuto deliberare l’Opa su Tim per stoppare la scalata. E se è vero che da sole le loro azioni non sarebbero state sufficienti per raggiungere il quorum 30 per cento del capitale, è altrettanto vero che alcuni fondi internazionali decisero di non partecipare proprio perché il governo tifava per i ”capitani coraggiosi”. Infine un’ultima annotazione: ma realmente si può pensare che Consorte (presente con Unipol in Bell, la lussemburghese di cui nessuno ha mai scritto che Colaninno fosse socio) abbia parlato con D’Alema solo in occasione delle scalate bancarie del 2005? Io, no. Peter Gomez