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 2010  aprile 22 Giovedì calendario

CIFRE, CHI LE SPARA PI GROSSE


Ci sono numeri che sfuggono alla nostra esperienza. I numeri estremamente piccoli, innanzitutto: chi ha un’idea concreta di quanto sia 1 milionesimo di secondo? E 1 miliardesimo di millimetro? Quanto è grande un atomo? E un quark? E poi i numeri estremamente grandi: la distanza della Terra dal Sole, l’età dell’universo, la velocità della luce. Insomma, sembra che riusciamo a muoverci con una certa destrezza solo con i numeri «medi», né troppo piccoli né troppo grandi.

Quel che è interessante, però, è che l’insensibilità numerica, ossia l’incapacità di intuire che cosa sta dietro un numero estremo, si manifesta anche nel mondo sociale, che è il luogo in cui ci formiamo le nostre convinzioni e le nostre credenze. Secondo alcuni studi di psicologia sociale, per esempio quelli del professor Gian Vittorio Caprara, il passaggio dalla lira all’euro ha gravemente compromesso la capacità di calcolo monetario, specie sugli importi piccoli. Il valore di 1 centesimo di euro (circa 20 lire) è fortemente sottovalutato, e così quello della moneta da 1 euro (circa 2 mila lire), come si può constatare dall’evoluzione delle abitudini in materia di elemosine, mance e oboli vari: prima dell’euro non era raro sentirsi richiedere 100 lire (ricordate: «Ciaiciendolire?»), oggi praticamente nessuno offrirebbe a chicchessia 10 centesimi (200 lire), e tanto meno una monetina da 5 (100 lire, appunto).

Spesso è con i numeri piccoli in sé che abbiamo dei problemi, come se non riuscissimo a maneggiare gli «zero virgola»: secondo la Caritas, per esempio, il tasso di criminalità degli immigrati regolari è «solo leggermente più alto di quello degli italiani»: 1,40 per cento contro lo 0,75. Strano, se ci pensate bene: chi direbbe che il reddito del professore universitario, che guadagna 3 mila euro al mese, è solo leggermente più alto di quello dell’operaio specializzato, che ne guadagna 1.600? Eppure, le proporzioni sono le stesse (1,40 sta a 0,75 come 3 mila sta a 1.600).

Ancora più gravi sono i nostri problemi con i numeri grandi. Chi ha una chiara percezione che 100 milioni di euro e 10 miliardi di euro sono due grandezze del tutto diverse? Eppure, sentite qui. Recentemente Francesco Manacorda, autorevole commentatore della Stampa, ha scritto che il Corriere della sera nel 2009 aveva perso 129,7 miliardi di euro (in realtà ha perso 1 millesimo di quella cifra). Nessun correttore di bozze o lettore o commentatore si è accorto dell’enormità, perché da quando c’è l’euro confondere i milioni con i miliardi è diventato del tutto normale, se non altro perché quasi nessuno ha a che fare con simili cifre. E infatti di refusi di questo tipo se ne incontrano ogni giorno, sulla carta stampata e in tv.

Per non parlare di quando si ha a che fare con cifre veramente grandi. Chi ha un’idea concreta di che cosa significhino 1.000 miliardi di euro? Chi ha idea della «potenza» che conferisce una simile cifra? Quasi nessuno, a quanto pare. Da diversi anni Roberto Saviano ripete ai suoi intervistatori: «L’azienda coca è senza dubbio alcuno il business più redditizio d’Italia, solo con la coca i clan fatturano 60 volte la Fiat». Peccato che il fatturato della Fiat sia circa 50 miliardi di euro, e che 50 per 60 faccia 3 mila miliardi, una cifra che eccede l’intero pil dell’Italia (1.500 miliardi) e l’intero fardello del debito pubblico. Eppure, di nuovo, nessun intervistatore, lettore o correttore di bozze ha avvertito l’assurdità, e tanto meno ha provato a comparare la cifra implicitamente denunciata da Saviano, 3 mila miliardi, con le stime più autorevoli sul traffico di cocaina dei clan, tutte inferiori a 30 miliardi.

Così l’insensibilità numerica diventa un potente fattore di costruzione e deformazione della realtà, un sistematico generatore di credenze false. Un dispositivo che qualche volta può occultare un problema reale (l’alto tasso di criminalità degli immigrati regolari), altre volte può farlo sembrare irrisolvibile (se i clan fatturassero 60 volte la Fiat non ci sarebbe partita). In entrambi i casi un danno, perché i problemi è meglio affrontarli, e i nemici è meglio conoscerli per quel che sono piuttosto che dipingerli come invincibili.