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 2010  aprile 15 Giovedì calendario

CINA, DISTRUTTA LA PORTA DEL TIBET

«Tutte le case sono crollate, i telefoni non funzionano, la gente è spaventata». Parla da un cellulare, con la linea che va e viene, gracchiante, un giovane lama tibetano sopravvissuto al sisma che ieri mattina ha devastato una delle province più inaccessibili e selvagge della Cina. I cinesi la chiamano Qinghai, il «mare verde», un altipiano tra i 3 e i 4 mila metri di altitudine, alle porte del tetto del mondo, il Tibet.
Il sisma di 7.1 gradi della scala Richter ha fatto almeno 600 morti, mentre i feriti sono oltre 10 mila, e i senza tetto molti di più. La scossa è arrivata alle 7,49 del mattino ora locale, quando la maggior parte della gente era ancora a casa. Ma queste sono solo le prime cifre perché l’area è enorme, isolata, con costruzioni precarie, poco più di baracche appena fuori dalle grandi città.
Non è stato un massacro come quello del Sichuan due anni fa, quasi 100 mila vittime tra morti e dispersi, ma in quel caso si trattava di una provincia ad altissima densità di popolazione, con quasi 100 milioni di abitanti. In tutto il Qinghai invece, grande quattro volte l’Italia, si trovano circa cinque milioni di abitanti.
Forti però dell’esperienza del 2008, i soccorsi si sono subito concentrati sulle scuole. Allora molte, costruite con materiale inadeguato, crollarono seppellendo migliaia di bambini. Oggi sembra che tanti edifici scolastici abbiano invece retto, ma non tutti. L’agenzia ufficiale Nuova Cina ha riferito che si segnalano danni anche gravi ad alcune scuole elementari. Si teme una nuova strage di alunni in tenera età.
La ferrovia più alta del mondo, che passa dal Qinghai per raggiungere il Tibet, non è stata danneggiata. Abbastanza buona anche la situazione a Xining, capitale della provincia, metropoli di stile sino-americano, irta di grattacieli in vetro-cemento, con una popolazione a maggioranza han (l’etnia maggioritaria in Cina).
I problemi cominciano nelle città minori, dove il controllo dello stato centrale sulle costruzioni arriva con minore forza, e nelle zone rurali, abitate da tibetani e da hui, l’etnia musulmana della Cina. Da città come Jiegui, Yushu arrivano notizie più preoccupanti. L’aeroporto di Yushu è impraticabile e i collegamenti telefonici sono interrotti.
Il grande nemico adesso è il freddo perché a queste altitudini le temperature specie di notte vanno ancora sotto zero. Servono come allora tende, a migliaia, e sacchi a pelo. Di questi ultimi per ora ne sono stati richiesti 50 mila. Il problema è la loro distribuzione. Le strade sono poche, malandate e spesso si inerpicano per gole di montagne inaccessibili.
Pechino ha mobilitato l’esercito. Camion di wujin, la polizia armata, simili ai nostri carabinieri, hanno cominciato a sfilare da Xining verso le campagne per portare i primi soccorsi. Hanno raggiunto Yushu, vicino all’epicentro della scossa solo alle dieci di ieri sera. Sono stati poi mobilitati 100 paracadutisti e 1500 truppe aviotrasportate per gli interventi di emergenza nelle zone più remote.
Ma gli elicotteri cinesi, anello debole dei soccorsi nazionali, ancora una volta sembra abbiano avuto difficoltà a intervenire. Si tratta di macchine vecchie e antiquate, i cui piloti non sono adeguatamente addestrati e che hanno grosse difficoltà alle alte quote. Così il dubbio è che il giovane lama o altri come lui possano rimanere per giorni senza ricovero tra le neve.