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 2010  aprile 15 Giovedì calendario

ABORTO EXPRESS NELLA FARMACIA DEL VATICANO

A volte anche i dubbi sono un lusso. Non ne ha avuti Alina, 34 anni, quando ha varcato la soglia della Farmacia Vaticana per abortire. Vaticana, sì, non è un errore: è andata proprio all’interno delle mura dei più fieri nemici dell’interruzione di gravidanza per procurarsi le pillole di cui aveva bisogno. Ha dato uno sguardo rapido all’ampio negozio, scelto la fila più breve e atteso con pazienza il suo turno.
Non c’è da avere dubbi quando hai un passaporto romeno in tasca, due o tre lavori - tutti clandestini - e una famiglia da mantenere, sorelle e nipoti compresi. E’ una scelta tra vite. E Alina sa bene qual è la sua. E’ arrivata a Roma quattro anni fa con il marito: in Romania non c’è lavoro. In Italia nemmeno ma, a sapersi accontentare e a non avere pretese di cittadinanza o contributi, qualcosa si può guadagnare, assicurano gli amici.
Lui viene subito preso da un piccolo costruttore a fabbricare cemento e riverniciare interni di case. Lei a pulire appartamenti, a volte anche uffici, i suoi preferiti: nessuno si sogna di protestare se il pavimento non è lucido di cera o se non toglie la polvere dietro i mobili ogni giorno.
Una vita da fantasmi, del tutto inesistenti. Eppure insieme riescono a mandare a casa anche mille euro al mese. Per la famiglia è la salvezza. Alina e il marito hanno due figli maschi di 10 e 8 anni. Con quei soldi vanno a scuola, si vestono, mangiano. Con gli stessi soldi vivono il nonno e la nonna, troppo anziani per lavorare, la sorella di Alina, i suoi due figli e il marito invalido.
Quando quest’inverno Alina ha capito di essere incinta ha pensato a loro. Non aveva scelta: portare avanti la gravidanza per un fantasma come lei vuol dire perdere tutto. Nessuno dà un lavoro in nero a una romena incinta, le si chiede di farsi un attimo da parte, partorire e poi ricominciare da capo a bussare alle porte per trovare altre case e uffici da pulire. Quanti mesi di stipendio persi? Sette, otto, dieci? E poi chi allatta il bambino? E se non lo allatta lei chi ha i soldi per comprare il latte? E alla fine perché fare ancora un figlio per disfarsene subito dopo e nemmeno vederlo crescere?
Una donna fantasma non ha un medico di famiglia e l’assistenza sanitaria soltanto se in pericolo di vita o in particolari casi. L’aborto dovrebbe essere compreso ma con i tempi che corrono presentarsi in ospedale e far emergere la propria vita è troppo rischioso. Meglio ascoltare i consigli di chi ne sa più di lei. Nel Lazio una donna su tre che abortisce è originaria dell’Est, molto spesso romena. Il metodo è sempre lo stesso, il fai-da-te: alcune pillole di un farmaco usato per curare l’ulcera gastrica e duodenale contengono prostaglandine, lo stesso principio della seconda pillola somministrata nel protocollo della Ru486, quello che provoca l’espulsione definitiva. Le sudamericane ne sono fra le più grandi consumatrici, lo hanno ribattezzato l’aborto-express. Le cinesi lo usano in quantità industriali e ne arrivano casse intere nel nostro Paese nascoste tra altre merci. Tutte fanno finta di non sapere quanto è pericoloso prenderlo senza controllo. In Italia costa 13,90 euro e si vende in tutte le farmacie ma proprio per evitare abusi bisogna presentare una prescrizione di un medico di famiglia non ripetibile e nominale.
Alina non ha medico di famiglia, e non può sperare nella compassione di qualcuno. Ci sarebbe il mercato nero ma costa il doppio ed è meno sicura. Vai a fidarti di quello che ti vendono, una rom è morta a dicembre proprio dopo aver preso le pillole acquistate chissà come. La soluzione arriva un pomeriggio quando le sembra di non sapere più come fare. Può andare in Vaticano, dove nessuno immaginerebbe di doversi recare per interrompere la propria gravidanza, le assicurano. Le basterà presentare il passaporto subito oltre la porta Sant’Anna, far vedere di avere una prescrizione di un medico con un farmaco qualsiasi scritto sopra e non intestata a lei. A volte va bene anche un foglio bianco di uno studio medico. A volte nemmeno guardano questo foglio i dipendenti della Santa Sede. Al suo danno una rapida scorsa, le consegnano un pass e le indicano la strada per la farmacia.
A volte anche i dubbi sono un lusso. Alina sa che cosa significa assumere questo farmaco. Basta uno sbaglio minimo nelle dosi ed è spacciata. Pensa ai suoi figli, si fa il segno della croce e posa 14 euro sul bancone. Una farmacista dal capello liscio e lo sguardo lontano apre un cassetto, prende una scatola e gliela porta. «La prescrizione del medico? Può tenerla? Ecco il resto». Alina conta i soldi, pensa ad un errore, ma rispetto alle farmacie italiane in Vaticano l’aborto-express non solo è libero ma costa un euro e settanta centesimi in meno.

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N.B.: SULLA STAMPA DEL 27/4 LA RISPOSTA DELLA FARMACIA VATICANA:

Precisazioni sulla Farmacia Vaticana

In merito all’articolo apparso su La Stampa di giovedì 15 aprile 2010 a pagina 6 intitolato «Aborto express nella farmacia Vaticana» vorrei innanzitutto esprimere indignazione di fronte a una così palese distorsione dell’informazione data da un quotidiano un tempo prestigioso. La Farmacia Vaticana è aperta a tutti, ma certo non se ne «varca la soglia per abortire».
Per accedervi - se non si è cittadini o dipendenti del Vaticano - è sufficiente essere in possesso di una ricetta valida per l’acquisto di un farmaco. vero che noi qui non chiediamo passaporti, ma lo fanno all’ingresso dello Stato dove, come a ogni frontiera, è necessario esibire un documento personale valido e dichiarare i motivi per cui si intende accedere. Nel nostro caso bisogna esibire una ricetta. A noi incombe l’obbligo di controllarne poi la validità e non siamo tenuti ad accertare se la persona che presenta la ricetta sia la stessa cui eventualmente è intestata, né possiamo indagare sull’uso che si fa del medicinale regolarmente prescritto, anche se eventualmente diverso da quello per cui è stato messo in commercio, nè possiamo accertare diagnosi e dosi che verranno assunte.
In quanto al prezzo del medicinale in questione precisiamo che la Farmacia Vaticana non pratica sconti sui medicinali. Il minor costo deriva dal fatto che in Vaticano non si paga l’iva.
Infine le «presunte file di immigrate per acquistare un farmaco nato come anti-ulcera». Ci auguriamo che non sia malafede, ma solo imperizia nel cercare notizie e fonti. Abbiamo a disposizione i dati sulla vendita del farmaco in questione: dal 24 aprile del 2009 ad oggi ne sono state vendute 17 confezioni, due delle quali dietro presentazione di ricette interne. Dunque se quindici persone in un anno costituiscono «file di immigrate per acquistare...» allora vuol dire che siamo noi in malafede.
Questo per onor del vero e per sottolineare la gravità dell’offesa che è stata recata alla nostra istituzione con un’accusa infamante, che non ha fondamento alcuno.
FRA RAFAEL CENIZO RAMIREZ DIRETTORE FARMACIA VATICANA

Mi rendo conto che il mio articolo possa aver dato molto fastidio ma penso che sia proprio questo il compito di un quotidiano ancora molto prestigioso: raccontare la realtà senza ideologie. La realtà è che una donna è entrata nella farmacia vaticana avendo una ricetta qualsiasi e ne è uscita con un farmaco che le ha permesso di abortire. La realtà è che anche in Vaticano si sa bene che questo farmaco è il più usato nell’aborto clandestino, e che ogni anno causa la morte di centinaia di donne in tutto il mondo. Non ho mai pensato che lo sconto possa essere praticato soltanto su questo farmaco - tutti sanno che nella farmacia è conveniente andare proprio perché non si paga l’Iva - ma era di quel prodotto che scrivevo, non di altri. Le file, infine: anche in questo caso mai scritto nulla del genere, nell’articolo si parlava di una donna, della sua ricerca di una forma di aborto clandestino e del fatto che la farmacia vaticana fosse la risposta più semplice a quel problema.