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 2010  aprile 15 Giovedì calendario

DA TOGLIATTI AL SESSANTOTTO

Occhiali rotondi con stanghette sottili, capelli bianchi e lisci. In quel gran presepe del comunismo italiano che sono I funerali di Togliatti (1972) Jean-Paul Sartre è riconoscibile nella folla proprio al fianco dell´autore, Renato Guttuso; poco più avanti si vede Elio Vittorini, alle loro spalle Angela Davis. Alle esequie del capo del Pci l´intellettuale principe di tutti gli intellettuali partecipò effettivamente con la de Beauvoir. A Roma scese come sempre all´hotel Nazionale e a piazza Montecitorio consegnò a Maria Antonietta Macciocchi dieci cartelle destinate all´Unità su "Il mio amico Togliatti". L´anno seguente, il 1965, uno dei primi Oscar Mondadori fu La nausea e vendette 190 mila copie. Nell´arco di un quindicennio i comunisti italiani avevano fatto a tempo a trattarlo come un degenerato, pronto a «compiacersi della pederastia e dell´onanismo», e poi a difenderlo dai suoi stessi e dai loro stessi – e un po´ rozzi – compagni del Pcf.
Sartre adorava l´Italia: ma forse più come un luogo di vacanza che di impegno. Così come gli italiani, specie quelli appartenenti al ceto dei colti, erano sospettosi e sia pure sottovoce lo ritenevano "illeggibile". C´era un po´ d´antipatia, forse pure d´invidia. I giovani erano senz´altro meglio disposti. Il celebre bandito Casaroli si è poi definito "a modo mio" un seguace di Sartre. Mentre con più pacifici esiti ha confessato Carlo Freccero di aver messo da parte l´idea di farsi prete dopo la lettura de L´età della ragione.
Nell´estate del 1960, lasciata Simon a Parigi, Jean-Paul se ne venne allegramente a Capri con uno schianto di giovane studentessa franco-tunisina. E tuttavia: «Sulle cose del sesso – proclamò una volta Moravia – gli italiani non hanno bisogno di prendere lezioni da Sartre». A Roma lo portavano a mangiare il fritto vegetale della signora Andreina dalle parti di Campo de´ fiori; a Milano era trattato con tutti i riguardi al "Giamaica". All´ospitalità, con qualche inevitabile semplificazione, si può dire che provvedeva il Pci. Ma forse anche questa cortese attenzione rivelava un qualche retropensiero precauzionale – specie dopo il Sessantotto, essendo Sartre già entrato come immancabile antipasto nel menu ideologico di quella stagione, vedi gli ameni versi di Giuliano Zincone: «Morale sessuale più elastica./ All´ora del Tet/ si conversa di Sartre, di Gramsci, di Gobetti.../ Nei baretti/ il whisky di malto si versa».
Berlinguer fu molto meno amichevole di Togliatti; e adesso non è per ridurre la grande storia delle idee a beghe personali, ma nel 1977 Sartre mollò a lui e a tutto il Pci un bel ceffone, e in un momento davvero molto delicato, firmando assieme a tanti altri suoi illustri connazionali un "Manifesto contro la repressione", quest´ultima secondo loro determinatasi ai danni di alcuni giovani militanti bolognesi per via dell´accordo tra comunisti e Dc. Al che: «Ribellarsi è giusto – commentò laconico Lucio Colletti – ma invecchiare bene è anche importante».
Molto più complesso che ripercorrere il rapporto tra Sartre e l´Italia è indovinare che cosa il filosofo della libertà abbia lasciato in un paese in cui comanda ora il Popolo della Libertà. E tra enfasi e oleografia, la tentazione è di azzardare la sintesi quasi blasfema di una dottrina più che defunta, scarnificata. E dunque, come angostura, o come coriandoli: protagonismo mediatico, fumo di sigarette, culto del rifiuto, individualismo anche generoso, ma capriccioso, e l´appello, i salotti, la guerra al luogo comune, un pezzetto di Saviano, un assaggio di Sgarbi, una goccia di Manifesto, una stilla di Pannella, un bimbo che guarda I funerali di Togliatti e chiede: «Mamma, chi sono tutti quelli lì?».